Commento

Ritrovare il senso delle parole

29 gennaio 2016
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La politica, da diversi anni ormai, si è guastata molto con il linguaggio. Nella forma e nei contenuti. Oggi devi spararla grossa se vuoi farti notare, altrimenti sei sommerso nel mare magnum dell’indifferenza. Proponi una pistola a tutti gli adolescenti affinché imparino a difendersi e apparirai sui giornali e avrai accesso a un ‘approfondimento’ alla televisione. Sostieni la necessità di elettrificare i confini di Stato per la tua sicurezza e smuoverai anche le anime più cristiane. Mettiti contro ogni intrusione regolatrice dell’ente pubblico e ti farai una medaglia di liberale doc e di sostenitore dell’economia e dell’occupazione. La politica fa sempre più capo alla provocazione spesso becera per darsi visibilità. Che è quella che conta, non la credibilità. La politica si fa anche con la incoerenza untuosa o la posizione ideologicamente sgangherata, contro il bene comune. Il colmo è che quel linguaggio, soprattutto nei modi, ma persino nei contenuti, è stato spappagallato dalla vicina avversata Italia; fa parte delle sincronie stridenti importate da quella che un tempo era definita la nostra matrice culturale. Nessun muro elettrico contro quelle bertucciate. Il linguaggio della politica è eufemistico, si sosteneva un tempo. Eufemismo: modo di dire o di suggerire, con dissimulazione o con decoro, idee la cui espressione franca e diretta risulterebbe troppo dura o sgradevole. Si pensava però ai contenuti indigesti, non ai modi triviali. Per certi versi si è ancora eufemistici: perché una preoccupazione del politico rimane quella di nascondere o imbellettare la realtà per motivi suoi, perlopiù elettoralistici; perché nello scontro politico si preferisce lo scontro nella confusione piuttosto che nella verità (e aiuta la matematica, che in politica diventa un’opinione sotto forma di statistica o di contabilità). L’eufemismo, che poteva persino essere considerato un segno di responsabilità, è però tecnica di linguaggio difficile. È anche arte difficile perché richiede una cultura. Oggi canta vittoria chi va giù duro, senza decoro né cultura, con l’intenzione di dissacrare tutto quanto sa di Stato o di bene comune o di ‘alterità’ e di vendere le sparate come trasparenza o provocazione necessaria per smuovere le cose. In realtà, per crearsi facile reddito elettorale. Se c’è un augurio ‘politico’ che si può fare, potrebbe essere quello di ritrovare il senso delle parole. Che nel campo della politica dovrebbero contare come pietre. La politica è un’arte del discorso e della decisione. Si nutre della conoscenza che è la condizione per orientare il giudizio verso l’azione. Vale soprattutto per la democrazia, una forma politica e un sistema di governo che riposa essenzialmente sul discorso, l’arte della persuasione. La democrazia (e quindi il linguaggio, il discorso) senza sostanza e con abbondante banalità, come avviene purtroppo, è solo una misera messinscena. Alle volte, proprio per il linguaggio usato, volutamente carico d’effetto ‘bettolesco’, ma povero di contenuti, si ha proprio l’impressione di una scadente sceneggiata, priva di ogni idealità. Che punisce e mortifica anche il Paese, dentro e fuori.

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