Commento

Ridare senso alla bellezza

24 settembre 2016
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Lo Spirito spira sempre, la religione – ovvero scegliere e aver cura delle regole – a volte zoppica, fatica a inserirsi nella contemporaneità. È quanto pare stia capitando anche nelle Scuole medie ticinesi dove la percentuale dei ragazzi iscritti al corso facoltativo di religione (cattolica) è in drastico calo. Con differenze interessanti da regione a regione, ma pur sempre in calo. Un’analisi affrettata del fenomeno non può che essere parziale e magari persino superficiale, per cui ce ne scusiamo subito. Così come è vero che in queste situazioni non è una, ma sono molte le cause e circostanze che determinano il fenomeno. La questione però è lì, nuda e cruda, che induce tutti a farsene carico e del resto la stessa discussione politica sull’insegnamento religioso nelle scuole ci ricorda che la ‘questione’ è sempre viva, per più motivi.
Forse bisognerebbe ripartire dal senso. Profondo. “Io non so che cosa sia Dio; so però che rispetto a me esiste un di più di essere (energia e informazione) da cui vengo e in cui confluirò, come anche so che questo di più ha da sempre attratto la mente e il cuore degli esseri umani” (Vito Mancuso, da ‘Dio e il suo destino’). Il bisogno di spiritualità – che certo non è ancora fede – è cosa tanto intima quanto palpabile anche nella società contemporanea dove il ‘tecnicismo’ potrebbe trarre in inganno. In verità la tecnica – indispensabile – da sola non basta a giustificare quel ‘di più’ che cita Mancuso.
E però, per affrontare e spiegare tutto ciò a scuola (e non solo lì) è forse necessario ‘dimenticare’ le regole, i precetti, e lasciare che lo Spirito spiri dove vuole, anche perché “non sai da dove viene né dove va” (Giovanni 3,8).
Non è un passaggio indolore, ne siamo consapevoli. Non lo è perché da tanto (ma non da sempre), da troppo tempo, tutto deve avvenire solo come e dove è stabilito che avvenga secondo il controllo ecclesiastico (in quanto emanazione del Figlio e quindi del Padre). Ne consegue che l’insegnamento religioso non può – secondo l’istituzione – essere energia, informazione e amore in espansione libera, magari anche un po’ caotica, verso il bello e il giusto. Non può essere libertà. E però lo è, dal momento che in Canton Ticino non c’è l’obbligo di frequenza dell’ora di religione e mai ci sarà a breve termine. Resta un’opzione, magari ‘confinata’ all’interpretazione della regola. Intendiamoci, in molte realtà scolastiche non è più così da tempo; non è vero che oggi nelle scuole si fa catechismo, ma al contempo si fatica a considerare l’insegnamento della religione come parte integrante della formazione (allora sì obbligatoria) di ogni allievo e dunque laica. Perché non canonica, non esclusiva, non figlia di un unico sapere, peraltro determinato dall’interpretazione prevalente.
La Diocesi di Lugano è oggi confrontata con una grossa scommessa: andare oltre il fosso identitario senza paura e col coraggio irradiato dalla bellezza dello Spirito, riuscendo al contempo a coinvolgere e tenere compatto un gregge fragile e spaurito. Non è cosa da poco, ma la sfida non è rinviabile. Non lo è per l’insegnamento della religione nella scuola ticinese e non lo è per chi vuole rimettere al centro dell’uomo il profondo senso della sua esistenza

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