Commento

Quando l’oro non brilla

24 giugno 2015
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Torna purtroppo alla ribalta il tema dell’oro ‘marcio’. Purtroppo, perché l’oro – come le banche, la cioccolata e gli orologi – è intimamente legato al nostro Paese. Sono le cifre a dirlo: la Svizzera è il più importante luogo al mondo (!) dove viene lavorato l’oro. In un interessante dossier il ‘Tages-Anzeiger’ di qualche anno fa ricordava, però, i rischi di riciclaggio celati dietro il commercio di questo metallo prezioso e le difficoltà nella comprensione della catena (leggasi società, spesso offshore situate in diversi paradisi fiscali difficilmente permeabili) attraverso la quale transita l’oro prima di arrivare nelle raffinerie.
Il problema dei problemi è soprattutto come fare a ricostruire e controllare tutta la filiera, e ciò anche indipendentemente da possibili reati. Come fare a sapere, tanto per iniziare, in quali miniere è stato estratto. Giova forse ricordare che, già ai tempi, vigeva il più grande riserbo sulla provenienza dell’oro raffinato in Svizzera: negli anni 70-80 il nostro Paese era criticato per l’importazione dell’oro dal Sudafrica dell’Apartheid, allora sotto embargo internazionale. Anche nell’era della guerra fredda – in modo camuffato – fu possibile importare il metallo dall’Unione sovietica. In quel frangente, se può consolare, non eravamo i soli! (cfr. servizio di Daniele Mariani su swissinfo.ch).
Ma oggi, nel 2015 sono caduti moti tabù. Chi lo avrebbe detto, ai tempi dei commerci col Sudafrica, che da noi si sarebbe un giorno sgretolato il segreto bancario? La finanza elvetica è sempre più nel mirino, soprattutto quando chiede autorizzazioni per poter operare all’estero. È quindi non solo importante, ma vitale per l’immagine del nostro Paese, per la nostra credibilità, che anche il commercio dell’oro venga finalmente regolato in modo severo. Anche perché, se non saremo noi a farlo, saranno gli altri, com’è successo con le banche, ad imporcelo.
In gioco ci sono questioni molto delicate, che vanno dal rispetto dei diritti dell’Uomo (spesso sono fanciulli a lavorare nelle miniere in condizioni disumane), al rispetto dell’ambiente e, di riflesso, ancora al rispetto delle persone che vivono in quei luoghi, visto che per estrarre il metallo giallo si utilizzano sostanze altamente tossiche quali il cianuro e il mercurio. E non da ultimo aggiungiamo anche il nodo dei flussi miliardari di capitali raccolti con la vendita dell’oro che vanno a finanziare che cosa? Nella peggiore delle ipotesi conflitti armati e traffici illeciti.
Questo, solo per quanto concerne i primi capitoli, ovvero quelli dell’estrazione, dei guadagni e dei passaggi di mano. Poi, c’è il capitolo altrettanto scottante di chi trasforma quell’oro in lingotti o in gioielli o in altro ancora. Trasformazioni che renderanno definitivamente impossibile risalire all’ori-
gine.
Ecco perché, come è ben emerso dall’inchiesta giudiziaria, l’ennesima, venuta ieri alla luce ancora una volta grazie all’azione degli inquirenti italiani, è la nostra reputazione ad andarci di mezzo. Sì, perché, a voce alta, si dice che il Ticino è crocevia di commerci illeciti d’oro e che qui è possibile ripulirlo. Ripulirlo, permettendo così ad una materia preziosa d’origine illecita (perché derivante dall’evasione fiscale, dal riciclaggio, dai furti) di diventare irriconoscibile quanto all’origine. Diventare qui da noi oro pulito, da nuovamente investire come se nulla fosse. Perché l’oro, come la pecunia, non olet! Fino a quando alla Berna federale andrà bene così, nonostante le recenti e insufficienti modifiche di legge (cfr. pagina 3)?

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