Commento

Quando la macchina non carbura più

25 aprile 2015
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Più di un partito si sta chinando sulle sconfitte elettorali ancora brucianti. In due scuderie, in particolare quella socialista e quella pipidina, formazioni di lunga storia e grandi patrimoni, i vertici appaiono frastornati. Tuttora convinti (è normale) di aver fatto un buon lavoro in parlamento, in governo, nel Paese e nelle varie associazioni non solo di partito, constatano che la macchina non carbura più. Che le ‘legnate’ si susseguono e che il trend, con la Lega che sale e sbanca, è ormai un’evidenza. E anche, piaccia o no, un pezzo della nostra storia. Come fare dunque ad invertire, o almeno a tamponare il senso di marcia?
Pare impresa impossibile e, come in tutti i momenti di crisi, ciascuno fra qualche mese correrà con la propria nuova ricetta, dopo aver tentato di identificare le cause, di scovare colpevoli/capri espiatori, ben sapendo comunque che fuori non c’è la fila per mettersi a disposizione e mettere sulla divisa i gradi di neotimoniere. E ben sapendo anche che altri ‘eroi per un momento’ negli anni hanno già tentato di invertire certe tendenze al ribasso analizzando, riposizionando, annunciando. Senza riuscirci.
Nell’approfondire le ragioni delle disfatte che portano al ridimensionamento da pesi massimi a pesi piuma e a pagine di storia che si girano, c’è un dato di fatto forse sottovalutato. Anche perché, nel ragionarci sopra, a fare difetto (e ci siamo dentro tutti) è ovviamente la distanza storica da quanto sta accadendo. Il fatto è che ad essere radicalmente cambiato è il paese (e il mondo fuori dalla sua finestra). Di sicuro, poi, non siamo ancora alla fine della metamorfosi. Preso atto di questo, ovvio che non si possa più andare avanti proponendo soluzioni ‘cucinate’ da partiti, nobili eredi in gran parte dell’Ottocento (termine che non va considerato negativamente). Eredi, cioè, di una società meno liquida. Una società chiaramente divisa in proprietari-datori di lavoro (liberali o conservatori), da un lato, e proletari (rappresentati dai socialisti) dall’altro; una società poi ancora divisa fra credenti (politicamente più pipidini) e laici (ancora liberali o socialisti). Non lo si può più perché oggi io sistema è molto più complesso e le sfumature infinite. Ad essere saltate nella nuova era economica, che ha costruito mercati più grandi, sono soprattutto le frontiere di un tempo e anche i loro filtri. Oggi la libera circolazione delle persone, della mano d’opera e pure delle idee, compresi i credo, e il funzionamento di altri vasi comunicanti internazionali muovono una massa di persone proveniente da ogni dove. Siano essi residenti o frontalieri o migranti. Così, le formule di un tempo più statico non funzionano più. Guardando a sinistra, perché i socialisti, che erano e sono abituati a difendere i lavoratori e il diritto al lavoro pagato dignitosamente, vengono soprassati alla grande da chi chiede di dare assoluta precedenza ai nostri. Quindi di difendere ‘solo’ il lavoro per chi qui è nato e vive, mentre gli altri… che si arrangino! Guardando a destra, persino il fatto di essere difensori dell’identità religiosa cristiana diventa elemento di coesione politica, ma, attenzione, non più da parte di chi la aveva difesa sino a ieri in esclusiva, ossia il pipidì conservatore. Ma da parte della nuova Lega e della destra conservatrice, che ne fanno un cavallo di battaglia. Per esempio contro l’erezione di minareti, o contro il porto del burqa. Insomma, sono saltati tanti punti fermi che per un paio di secoli erano stati stelle fisse del firmamento politico e storicamente riserva di caccia quasi esclusiva di questa o quella formazione politica.
E allora che si fa? Cambiare pelle non è facile. E non sempre è possibile e neanche accettabile. Per i socialisti, ad esempio, come rapportarsi diversamente a lavoro e relativi principi di solidarietà umana validi per tutti? Come farlo se, proprio quell’approccio aperto e tendenzialmente internazionalista, rientra nel loro Dna culturale e storico? Una nuova strada, pena la scomparsa, va trovata. La discussione (vedi sasso in piccionaia gettato da Raoul Ghisletta) è già partita e sarà dura.
Occorre ripensarsi e riposizionarsi, partendo dal Paese che è mutato, abbandonando l’approccio di chi sa cosa fare e lo dice alla base e assumendo invece come punto di partenza un nuovo atteggiamento di ascolto e comprensione delle aspirazioni e dei problemi dei cittadini. Occorre saper efficacemente comunicare la propria piattaforma, semplificando il messaggio politico affinché passi e affidandosi a politici-comunicatori, posizionati nei punti chiave, per riuscire a raggiungere con facilità il Paese. Oggi, volenti o nolenti (e indubbiamente nostalgici), funziona così. Identitari, ma confusi. Confusi, ma identitari.

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