Commento

Partiti pigliatutto

5 ottobre 2015
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Prendere voti in tutte le direzioni: sembra un imperativo strategico dei partiti. Forse è anche la parabola del loro declino. Non è una novità. È stata studiata da illustri politologi. È il tedesco americanizzato Otto Kirchheimer che ha inventato la formula “partito pigliatutto” (catch all party) già nel 1966. Rilevava una linea di tendenza nei partiti tradizionali ad allontanarsi dalle proprie origini, ad annacquare i propri legami con i gruppi originari di riferimento, a estendere il proprio raggio di influenza ingruppando, come direbbe Merlin Cocai nel suo comprensibile latino, “bestia et universa pecora”. Ciò che hanno fatto meglio i movimenti populisti. Volendo pescare ovunque, si finisce per snaturarsi, perdersi, elaborare programmi percepiti tutti simili o strategie più propense a far cassetta, a costo di mandare al macero i propri principi e la propria storia. L’impressione, soprattutto sotto le elezioni, è che tutti con spreco enorme di visibilità vogliono trasformarsi in agenzie di marketing (con l’occhiolino compiacente in alcune cavatine di dibattiti televisivi; forse la più originale ed efficace impostazione è stata l’ultima ‘Classe politique’, passata però in tarda ora), per vendere quasi lo stesso prodotto a una platea di consumatori tra lo stanco e il disilluso o tra l’aizzabile e l’incantabile se si pizzicano alcune corde. La conseguenza di tutto questo sarà la spasmodica ricerca di soluzioni abborracciate di governo, di affratellamenti un tempo contronatura, di invenzioni di vecchia ingegneria istituzionale per ottenere maggioranze. In questo contesto, che non è solo ticinese, appare una sorta di controtendenza fuori casa che ha suscitato anche in casa nostra malumori, caricature, denigrazioni, speranze. Alcuni riterranno l’accostamento improprio o blasfemo. Ha però un senso. L’accostamento è tra chi è stato posto a larga maggioranza e con grande seguito di giovani alla testa del Labour party in Gran Bretagna, Jeremy Corbyn, e papa Francesco, con le sue recenti vicende e le critiche cui è stato sottoposto. Del primo si è detto peste e corna anche dalle nostre parti, persino da economisti di sinistra autorevoli, predicendo che le sue idee e proponimenti di sinistra portano all’‘eutanasia del laburismo’. Senza chiedersi se il laburismo non fosse già prima in stato comatoso. Per il secondo si sono resuscitati termini sempre serviti per mandare all’inferno personalità cattoliche coerenti e critiche: cattocomunista, cattomarxista, adepto della teologia della liberazione (quasi fosse una massoneria). Questa volta c’è cascato un papa. Del primo non ci si è chiesto, razionalmente, se non fosse la ricomparsa di un socialista che ritiene che le sue idee, il suo linguaggio, i suoi propositi non sono ferrivecchi, come sono riusciti a far credere ai socialisti coloro che, a causa di un’ideologia economica trionfante, proponevano invece allegramente la loro panoplia ideologica-strumentale di due secoli addietro, fallimentare, vendendola come “neo”. Del secondo, forse per un troppo lungo periodo di collateralismo con idee e modi poco cristiani all’interno stesso dell’istituzione che governa, non ci si è chiesti, semplicemente o francescanamente, se non sia solo un “cristiano” che ha letto i Vangeli e li ripropone.

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