Commento

Paradossi democratici

13 gennaio 2017
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Politicamente stiamo nutrendoci di paradossi. Si parte da presupposti anche validi, poi si arriva a conclusioni che contrastano con il senso comune o sono contraddittorie. Avesse ragione quel celebrato moralista francese secondo il quale il paradosso è la cattiveria degli uomini che hanno troppo spirito, avremmo almeno lo spirito. Ma non è così. Tra le grandi virtù dell’economia svizzera c’è quella di essere aperta al mondo. Il suo commercio estero muove il 70 per cento dell’attività economica. Il Paese ha fatto del libero scambio una necessità di sopravvivenza. Non conosce ostacoli neppure agli scambi di capitali. Per gli uomini, anche solo europei e lavoratori, è un po’ diverso. Da liberoscambisti si diventa solipsisti. Si impiegano tre anni per trovare un metodo che applichi il principio ‘prima i nostri’, legittimo e persino di buon senso per il comune cittadino. Qui fioccano paradossi. Dapprima ci si accorge che se poni dei limiti devi darti delle regole. Per capire perché tu imprenditore assumi un lavoratore straniero e non uno svizzero. E incappi in questionari, controlli e nella vituperata burocrazia, bestia nera e flagello delle aziende. Si alleggerisce il metodo (gli imprenditori dovranno dare precedenza ai ‘nostri’ ma non giustificarsi se non assumono un candidato selezionato dai servizi), ma burocrazia rimane (comunicare la procedura ai servizi). Contemporaneamente capita che se non si concede la libera circolazione delle persone alla Croazia, si esclude la Svizzera da un programma europeo di ricerca miliardario, con grave danno per scienza ed economia nazionali. E quindi, mentre la si sta limitando, si estende la libera circolazione in nome del futuro della sacrosanta economia. Non è comunque finita qui. Due iniziative e un controprogetto che ha ancora due varianti ci riporteranno al nastro di partenza. Il paradosso è democratico. Non si è mai rilevato un paradosso più grosso, tragicomico se non rivelasse una schizofrenia che tende ad essere caratteristica politico-economica, anche a livello cantonale. Domanda mai posta: i cosiddetti manager o Ceo rientreranno o no nelle procedure adottate dalle due Camere per dar priorità ai ‘nostri’? Nostri molto più importanti. Non per ‘dumping salariale’ ovviamente, ma per quella giusta precedenza agli svizzeri e soprattutto alla conclamata difesa della identità svizzera, patriottica, sovrana, politica, economica. Un tempo per arrivare a quei posti dovevi essere svizzero, meglio se tedesco, con curricolo preciso: università svizzera, alto grado nell’esercito, preferibilmente membro più o meno attivo del Plr. Oggi, tanto per dire, abbiamo un franco-ivoriano alla testa di una delle due maggiori banche, succeduto a sua volta ad un americano; dopo un germanico, un austriaco, un belga, abbiamo un germanico-americano alla testa della multinazionale svizzera per eccellenza; nientemeno che un germanico è posto al vertice della più importante associazione dei banchieri svizzeri, l’Asb. Ci sarebbero tanti altri esempi, persino per medie imprese, che si potrebbero aggiungere. Quindi: o a certi livelli siamo scassati e impoveriti e rassegnati a perdere identità e ‘governance’, ed è grave; o i manager non sono classificabili come lavoratori, ed è ingiusto; oppure l’economia globalizzata si fa un baffo… del parlamento svizzero e dei suoi paradossi democratici.

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