Commento

Noi e loro, urge un dibattito

2 aprile 2016
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Noi e l’islam. Quanto ‘lo spettro dei nuovi barbari’ – per usare il titolo dell’illuminante pagina di approfondimento, firmata dallo storico Andrea Ghiringhelli – cambierà noi, figli del cristianesimo e/o dell’illuminismo? E quanto saranno costretti a cambiare loro? Per ora non sappiamo dire, perché ci troviamo nel bel mezzo della burrasca e di un mutamento epocale forse solo appena iniziato. Ghiringhelli ha ragioni da vendere quando scrive che “forse varrebbe la pena studiare un po’ la Storia”, per capire che ci sono anche responsabilità dell’Occidente per l’arrivo dei cosiddetti ‘nuovi barbari’. Una Storia che ci aiuterebbe anche a capire come le migrazioni di popoli siano la regola, non l’eccezione. Ma intanto, complici le fiumane umane che si vedono alla tivù, l’ansia aumenta. E c’è anche chi, forse persino la maggioranza, se ne fa un baffo dei libri di storia. E, restando nella beata ignoranza, con l’arma del diritto di voto fa oltretutto sterzare a destra le democrazie. Come se queste servissero da scudo. È di questa settimana la notizia che anche da noi i costi per l’asilo raddoppieranno e la crisi economica si inasprirà. Due fatti, crudi, che a contatto diretto rischiano di stridere e produrre scintille, se non fiammate. È anche per questo che le tre sorelle, per citare Ghiringhelli alla fine del suo prezioso ragionamento – libertà, eguaglianza e solidarietà –, rischiano di passarsela male, davvero molto male.
In proposito, in un approfondimento apparso giovedì sul ‘Corriere della Sera’, si analizzava il passo indietro da noi compiuto su alcune conquiste e alcuni diritti sensibili, in particolare quelli delle donne. Motivo? Non urtare la comunità islamica. Ad Amsterdam, per esempio, il Comune ha inviato un messaggio di posta elettronica alle proprie dipendenti, invitandole a “non indossare una gonna o un vestito che arrivi sopra il ginocchio” e “gli stivali al ginocchio”. È chiaro il perché: per non dare certi segnali a chi interpreta un certo modo di vestire come nulla osta alla molestia facile o all’abuso. O ancora, in una piscina di Stoccolma è stato deciso di separare le jacuzzi perché erano aumentate le denunce di molestie alle clienti. Ma è giusto fare dietrofront così palesi per non urtare? Dietrofront che, se valutati giuridicamente, significano restrizioni delle nostre libertà e passi indietro nella lunga e dura lotta all’emancipazione.
Ebbene, la nostra risposta è semplicemente no. Se la nostra cultura ha delle regole, è chi arriva qui che deve adattarsi ai nostri usi e costumi. Non l’inverso. Quale sarà altrimenti il prossimo passo? Vietare i bagni di sole in bikini? Limitare la libertà di opinione su certi temi? Dobbiamo fare molta attenzione a non modificare aspetti molto concreti della vita di tutti i giorni. Il che non vuol dire che – se aumenta un certo tipo di criminalità per esempio su certe tratte ferroviarie – non si debbano introdurre vagoni rosa. Ma questo è un altro discorso, legato alla sicurezza. Il problema dei problemi, una volta che sappiamo ben bene quali sono i nostri diritti, doveri e libertà, è prendere atto che nel nostro ‘sistema aperto’ tali conquiste vanno riconosciute quasi in toto anche agli altri. Ma che l’esercizio di tali conquiste non deve portare, chi viene da fuori, a limitare o cancellare le nostre. E anche noi non dobbiamo limitare le loro. Lo conveniamo: tutto ciò è molto difficile e soprattutto è un processo in continuo mutamento, con regolari scosse di assestamento e frizioni. Ma, ci piaccia o no, si tratta della realtà nella quale ci troviamo immersi e ci troveremo immersi ancora noi, cittadini del XXI secolo. Riflettere e lanciare un pubblico dibattito è quindi di vitale importanza. E, se possibile, farlo con anticipo. Se possibile non lo è più, per la velocità dei cambiamenti, non accumuliamo altro ritardo.

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