Culture

LUGANO MUSICA - Fra tradizione e liberazione

20 novembre 2015
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di Enrico Colombo.
Per Bernard Haitink la Chamber Orchestra of Europe è la consolazione della sua vecchiaia, per il pubblico del Lac con i due concerti che impreziosiscono il primo cartellone di LuganoMusica è stata anche l’occasione di una verifica significativa dell’acustica della nuova sala con l’aiuto di un programma tradizionale tutto riservato a Schumann: martedì ne sono state eseguite la Prima e la Quarta Sinfonia, fra le due il Concerto per violoncello con solista Gautier Capuçon. Orchestra, direttore e solista eccellenti, all’altezza della loro fama, hanno dovuto cercare la misura dei pianissimi al limite del silenzio, dei fortissimi che non si appiattiscono in clusters, la chiarezza della pronuncia. Forse per l’esito di questa ricerca o perché ho smesso di controllare l’acustica e mi sono lasciato andare al piacere dell’ascolto, il concerto è stato per me un crescendo e lo ricorderò soprattutto per l’ultimo brano, la Quarta Sinfonia che, dopo tanti ascolti, mi è parsa ancor tutta da scoprire. L’arte di Haitink scava nella partitura, ne chiarisce ogni nota e ne ricava un fraseggio sorretto da un respiro ininterrotto. Il suo gesto, non sobrio, ma essenziale sembra invitar l’orchestra a procedere da sola, senza frapporle ostacoli. Suggerire senza comandare: tutto sembra semplice e delizioso quando un buon direttore ha davanti una buona orchestra. La Chamber Orchestra of Europe, che ha confermato tutto il suo valore, si è presentata con quaranta archi sulla base di quattro contrabbassi, un numero ideale per le opere in programma, ma così è ormai diventata una piccola orchestra sinfonica. Negli scritti suoi e dei suoi biografi Robert Schumann appare teso fra la monotonia del troppo cognito e il fascino dell’incognito, aspirante sincero a liberarsi di qualche impaccio della tradizione. Lo spettacolo “Schumann Reloaded”, andato in scena dopo il concerto nel Teatro Studio, prometteva una sua rivisitazione-ricostruzione moderna. Petra Ackermann, Philipp Meier e Jorge Sànchez-Chiong formano un trio di viola, pianoforte e giradischi, sostenuto da una cospicua elettronica, che ha presentato un programma di oltre un’ora con una breve, insignificante citazione di un’aria di Schumann al pianoforte. Dunque Schumann c’entrava poco, ma poco c’entrava anche la musica, benché il programma di sala parlasse di compositori uniti da comuni radici latinoamericane. Una successione di rumori ai quali dava forse un senso il titolo dell’ultimo brano: “Tanto nadar para morir en la orilla”. Ho nuotato nel fiume di rumori e ho anche sorriso, almeno quando non mi dolevano le orecchie, non sono morto, ma mi sono annoiato tanto. All’inizio c’erano in sala un centinaio di spettatori, alcuni venuti apposta, senza aver seguito il concerto sinfonico. Metà di loro se ne sono andati durante lo spettacolo. Io sono arrivato a riva per dovere di cronaca.

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