Impact Journalism

Il ragazzo che salverà l'oceano

22 settembre 2014
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di Christopher F. Schuetze/Sparknews

Boyan Slat ha sormontato importanti ostacoli, non da ultimo la sua giovanissima età, ed è riuscito a dare vita alla sua singolare idea su come ripulire gli oceani. La sua fondazione, The Ocean Cleanup, dopo aver conquistato il sostegno di numerosi esperti, ha come progetto quello di liberare i mari da tonnellate di rifiuti di plastica.

Quando Boyan Slat, allora solo sedicenne, facendo immersione nel mare Egeo durante una vacanza con la sua famiglia nel 2011, vide quantità inquietanti di rifiuti di plastica galleggiare sul mare, pensò, come avrebbero fatto molti altri, che era necessario fare qualcosa.

Ma poiché Slat non è come la maggioranza delle persone, ha davvero ideato una possibile soluzione. «Una volta che mi trovo a lavorare su qualcosa, smetto solo quando l’ho conclusa», spiega seduto negli uffici di Delft di The Ocean Cleanup, l’organizzazione senza scopo di lucro da lui fondata per liberare gli oceani di tutto il mondo dalla plastica.

Dopo aver notato i rifiuti in Grecia, Slat si butta, con un compagno, su un progetto scolastico di ricerca con l’intento di misurare l’inquinamento dovuto alla plastica nel Mare del Nord. Benché l’operazione abbia prodotto scarsi dati utili – lo strumento di misura costruito dai due ragazzi si è rotto a causa della corrente marina – lo studio ha consentito ai due di ottenere un ottimo voto a scuola e anche la pubblicazione di un breve articolo in un piccolo quotidiano di Delft. Non solo, un organizzatore del TEDx Talk locale ha chiesto a Slat di presentare i risultati da lui ottenuti davanti a un pubblico. Su palco il ragazzo illustra dettagliatamente la sua idea: invece di pescare la plastica attivamente, per mezzo di reti, propone un sistema di pulizia passiva che sfrutta il naturale movimento delle correnti e il vento per spingere i rifiuti contro una barriera.

La sua presentazione ottenne un buon riscontro e da allora Slat ha messo insieme un team di quasi 100 esperti – tecnici qualificati offshore, giuristi esperti in diritto marittimo, ecologisti, biologi marini – al fine di testare, ottimizzare e sviluppare il suo sistema. Molti di essi stanno lavorando gratuitamente. Una squadra composta da circa 10 persone, principalmente olandesi, lavora a tempo pieno per sovrintendere e coordinare il lavoro.

La loro soluzione consiste in un braccio galleggiante a forma di V che arriva a circa 3 metri di profondità sotto la superficie dell’acqua e che cattura la plastica spinta al suo interno, quindi la convoglia verso una piattaforma di estrazione alimentata a energia solare. Il tutto senza danneggiare la fauna marina. L’obiettivo è installare il sistema entro il 2020 in un punto a metà strada fra la California e le Hawaii, vicino al Great Pacific Garbage Patch (Grande chiazza di immondizia del Pacifico). L’apparecchiatura, il cui costo stimato è di circa 300 milioni di dollari (Slat sostiene che il costo sarebbe di 33 volte inferiore a quello per l’utilizzo di imbarcazioni con reti), copre una superficie di circa 100 km. L’installazione della struttura potrebbe essere replicata altrove.

Creando una squadra per costruire ciò che sostanzialmente è un sofisticato aspirapolvere con una paletta per la spazzatura, Slat ha dimostrato il potere che può avere un profano ben determinato che ha la volontà di chiedere l’aiuto delle persone giuste. Solo nell’ultimo anno, dice di avere inviato circa 13mila e-mail.

 «Quando un giovane di 17 anni viene da te e ti parla del suo progetto, resti piuttosto scioccato perché molte persone hanno già tentato di fare qualcosa del genere», commenta Santiago Garcia Espallargas, dottore della facoltà di ingegneria aerospaziale presso la prestigiosa Technical University di Delft. Slat aveva partecipato a una conferenza di Garcia all’università e aveva quindi presentato le sue idee durante lo spazio riservato alle domande e risposte. «La terminologia da lui usata per illustrare l’argomento non era naturalmente molto ricercata – ricorda Garcia –. Ma era assolutamente aperto a esplorare cose di cui non aveva conoscenza… Mi sono trovato davanti questo studente davvero giovanissimo che se ne veniva fuori con idee che avevano il potere di cambiare il mondo».

Quando il progetto di Slat iniziò a prendere forma e a catturare l’attenzione dei media, gli esperti iniziarono a bussare alla sua porta. «Quelli che sono più desiderosi di dare il loro aiuto sono quelli che vivono il problema in prima persona, come i marinai e i subacquei», rileva Jan de Sonneville, ingegnere capo di Ocean Cleanup. Sebbene le stime differiscano le une dalle altre, secondo Greenpeace ogni anno circa 10 milioni di tonnellate di plastica finiscano nell’oceano. L’ottanta per cento proviene dalla terraferma, mentre il resto è causato dalle navi commerciali che perdono il loro carico o che scaricano pattume illegalmente. Spinta dalle correnti, l’immondizia tende ad accumularsi in grandi “chiazze” molto al largo delle coste. La più estesa di queste è la Great Pacific Garbage Patch, che secondo Greenpeace ha una superficie vasta quanto il Texas. Oltre ai suoi effetti devastanti per uccelli, mammiferi e pesci che ingeriscono la plastica o vi restano impigliati, la plastica finisce per scomporsi in minuscoli frammenti, creando una specie di “brodo” tossico che entra nella catena alimentare.

Il progetto di Slat ha sollevato un certo scetticismo. Uno dei maggiori punti deboli sta nel fatto che il braccio non è in grado di catturare i frammenti più piccoli. (De Sonneville sottolinea che in ogni caso può cattura la plastica prima che si scomponga). Questa primavera Ocean Cleanup ha pubblicato uno studio di fattibilità di 530 pagine che illustra in modo molto dettagliato le sfide e le soluzioni della sua proposta, dalle implicazioni legali dell’ancoraggio dell’estrattore di rifiuti nel Pacifico ai modi in cui può essere riciclata la plastica.

Al momento della redazione di questo articolo, il gruppo aveva raccolto quasi il 70% della cifra di crowdfunding (finanziamento collettivo) che si era posta come obiettivo, 2 milioni di dollari. Tale somma, insieme ai contributi in natura – come ad esempio l’uso gratuito di attrezzature speciali o ore di lavoro messe a disposizione da parte di ingegneri esperti – finanzierà lo studio pilota, compresi diversi modelli in scala del sistema.

Benché si sia fatto un gran parlare della giovane età di Slat, lui non sembra vedere nulla di strano nell’organizzare un progetto tanto ambizioso. «Non c’è stata alcuna intenzione di usarla come strumento di promozione», precisa. Ammette tuttavia che nelle fasi iniziali del progetto gli ha consentito di entrare in contatto con gli esperti. «Se avessi avuto 40 anni, penso che sarebbe stato molto più difficile».

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