Commento

Il peso delle parole

Gabriele Pinoja
(Davide Agosta)
20 luglio 2017
|

Le parole non costano nulla e ognuno di noi ne possiede un gran numero “ma ci sono giorni in cui contano solo le parole giuste, e chi le trova può decidere che cosa succederà da quel momento in poi”. Così Mark Thompson, già direttore generale della Bbc e oggi amministratore delegato del ‘New York Times’, nel suo recente “La fine del dibattito pubblico” (Feltrinelli). Perché le parole possono trasformarsi in suadenti sirene. Prendete “Prima i nostri”. Esclamazione potente, in tempi come gli attuali, tanto quanto l’altra fortunata declinazione “Padroni a casa nostra”. Slogan, frasi fatte, parole tanto accattivanti quanto retoriche (e dunque miranti al cuore più che alla mente di chi le ascolta). Parole pesanti che possono decidere cosa succederà da quel momento. Come sta capitando, appunto, in Canton Ticino. Il gruppo dirigente dell’Udc cantonale accusa il Consiglio di Stato di scarso coraggio perché colpevole di ricordare come funziona la nostra democrazia istituzionale. In particolare, il governo ha recentemente respinto quasi tutte le proposte della commissione parlamentare che ha lavorato sull’applicazione dell’iniziativa popolare “Prima i nostri”, ovvero prima il lavoro a chi risiede in Svizzera.

Il governo ticinese non entra quasi mai nel merito delle proposte, non prende in considerazione il contenuto, si limita alla forma. Che non è cosa da poco. Detta in breve, quanto propone la commissione parlamentare non rispetta il diritto superiore, vale a dire le leggi federali. Perché il diritto, in Svizzera come altrove, funziona così: l’ente più piccolo deve adeguare le proprie leggi a quelle decise in un ambito più grande. I Comuni alla legislazione cantonale e i Cantoni a quella federale. Nel caso in questione poi – tutto ciò che gira attorno alla libertà professionale – va pure preso in considerazione l’accordo internazionale stipulato sulla libera circolazione fra Svizzera e Unione europea. Piaccia o meno. È come la botte piena e la moglie ubriaca: o una o l’altra, o la libertà di decidere cosa fare in casa propria o la libertà di circolazione sul lavoro come su altre materie (i capitali, i trasporti, i servizi). Libertà stabilite da un accordo internazionale che sovrasta tutte le legislazioni cantonali.

Per noi il diritto superiore, dicono i democentristi ticinesi, è l’approvazione popolare dell’articolo 121a inserito nella Costituzione elvetica grazie all’iniziativa contro l’immigrazione di massa. E più in alto della Costituzione cosa può esserci? Ah, le parole “giuste”. La retorica. In verità la maggioranza del popolo svizzero ha approvato un principio, la cui applicazione necessita di una legge, e a volte capita (ne sanno qualcosa gli iniziativisti delle Alpi) che il legislatore decida di non seguire alla lettera il principio costituzionale sancito dal verdetto popolare, come in questo caso. La legge varata dalle Camere federali non prevede l’esplicita precedenza all’occupazione residente, ma solo l’obbligo di segnalazione agli uffici regionali competenti dei posti vacanti. Va contro il verdetto del “sovrano”? Può darsi, ma allora si doveva promuovere un referendum per abolire la legge sopraccitata. Altra alternativa, disdire l’accordo sulla libera circolazione delle persone con l’Ue e infatti, a quanto pare, l’Udc avrebbe intenzione di lanciare presto un’iniziativa popolare tesa a questo scopo. È questa la strada corretta, non certo quella di costringere il Canton Ticino a interpretare il diritto secondo la convenienza del momento. Il governo è coerente – una volta tanto, ci viene da aggiungere – e lo scrive. Lo sarà anche il parlamento?

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔