Commento

Il paradosso dell’insostenibilità

7 luglio 2016
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Non è che ci trasciniamo politicamente in una sorta di paradosso, con un principio divenuto dogma e alcune premesse che lo puntellano, ma non si verificano? Il principio è il seguente: se aumentano le spese e ci si indebita, la prima cosa da fare è non procurarsi maggiori entrate con le imposte. Le spese dello Stato aumentano inarrestabili: non tanto per incapacità gestionale o spreco, quanto per evoluzione ed esigenza della popolazione, del bene comune, della economia (basterebbe pensare ai problemi dell’invecchiamento, della salute, della sicurezza sia essa fisica, economica-finanziaria, o alimentare, della formazione sempre più lunga e qualificata, del sostegno all’economia e all’occupazione, della mobilità, del territorio, dell’ambiente e della qualità di vita). Un’esperienza più che ventennale dimostra che ogni operazione di diversa gestione o di risparmio forzato non riesce ad evitare quel costante aumento di spesa, geneticamente insito nel bilancio di ogni società che si rispetti, a meno di rinunciare drasticamente a costi che sono obblighi e servizi civili o costituzionali, generando anarchie, ingiustizie e tensioni sociali gravissime. Rimane tuttavia improponibile per ideologia o per ragioni ‘popolari’ ed economiche un proporzionale aumento delle entrate con un maggior contributo fiscale, contenendo l’indebitamento. Le premesse che non si verificano sono almeno tre: è la crescita economica o l’aumento del prodotto interno lordo (la ricchezza creata) che sana la situazione; è solo il risparmio che porterà alla parità del bilanci; è la concorrenza fiscale che promuove e rafforza l’economia. In realtà: la crescita non c’è più o risulta troppo debole per invertire la tendenza; il risparmio, fosse anche possibile e lodevole, sembra ormai da decenni nei risultati la fata Morgana di governo e partiti; lo sgravio fiscale, sperimentato sin dal lontano 1946 come strumento di sviluppo economico del cantone, risulta un gioco a somma zero: ha infatti un bilancio che non è mai stato quello che ci si attendeva, non ha portato al di là del guado, non ha attenuato il disavanzo di reddito sociale del Ticino rispetto alla media svizzera. Il paradosso sta nel vivere questa situazione senza voler rendersene realisticamente conto. Ci sono vie d’uscita? O non si fa dell’indebitamento il chiodo fisso, lo scoglio di tutto, lo si accetta purché sia investimento qualitativo, costruttivo e redditizio, verificabile. Diventa in tal modo un credito e non un debito anche per le generazioni future. D’altronde la stessa economia non potrà crescere senza questo indebitamento. O non si fa dell’imposta un tabù e si richiede un maggior contributo, proporzionale alla ricchezza e ai patrimoni, al pagamento degli oneri inevitabili per il bene comune e la difesa dello Stato di diritto (quelli precedentemente indicati o anche quelli che devono supplire alle conseguenze della non-crescita). Oppure si mette in auge, ma non subdolamente, il principio del “si salvi chi può”, mandando a catafascio democrazia, vivere civile, libertà, solidarietà perché hanno un costo che non si vuol sostenere.

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