L'editoriale

Il negoziato greco ancora in stallo

25 aprile 2015
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È finito quasi a stracci in faccia l’Eurogruppo, ieri a Riga, che doveva porre le basi per ulteriori aiuti finanziari alla Grecia. “Un perditempo, un giocatore d’azzardo, un dilettante”: così sarebbe stato definito Yanis Varoufakis, il professore di Atene, attuale ministro delle Finanze, da alcuni suoi colleghi, per il modo con cui sta portando avanti le trattative con i creditori internazionali. Si tratta d’indiscrezioni giornalistiche riprese da fonti anonime che comunque non si fa fatica a credere verosimili. L’unico ministro che è uscito allo scoperto è stato quello maltese: “Mi sento di descrivere la riunione di oggi – ha detto Edward Scicluna – come una completa rottura nella comunicazione con la Grecia”. Un modo molto diplomatico per dire che l’incontro è stato un dialogo tra sordi. Tra chi vuole continuare sulla via dell’austerità di bilancio e chi – promettendolo al proprio popolo – ha deciso di abbandonare la terapia nefasta della Troika.
Il governo Tsipras è quindi messo di fronte a scelte per certi versi drammatiche: o versare gli stipendi e le pensioni pubbliche di maggio oppure onorare gli impegni verso il Fondo monetario internazionale. Sempre a maggio scade infatti un’altra tranche di debito pari a 770 milioni di euro proprio nei confronti dell’istituzione di Washington. Una terza via – il default – per ora non è data. Anzi, tutti a parole lo vogliono scongiurare. A partire dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che però, prima di rispondere all’opinione pubblica europea, risponde ai suoi elettori. Ancora ieri ha ribadito che la Germania è pronta “a fornire tutto il sostegno richiesto, ma le riforme devono essere fatte”. E le riforme, inutile dirlo, sono sempre le stesse: privatizzazioni e tagli alla spesa sociale.
Di tutt’altro avviso Yanis Varoufakis secondo cui l’Europa deve abbandonare una “ricetta che ha già fallito”. Implementare ulteriormente le politiche di austerità invocate soprattutto dai partner del Nord Europa non farebbe altro che peggiorare la situazione di profonda crisi economica e sociale in cui si trova la Grecia da troppo tempo ormai.
È evidente che l’economia ellenica, nello stato attuale, non è in grado di crescere in modo tale da permettere la restituzione dei crediti ottenuti in passato. Evidenza palese era anche nel 2010. Invece di cancellare i debiti, come sarebbe stato necessario, i governi con le istituzioni europee e il Fondo monetario allora decisero di salvare i creditori privati (in primis le banche tedesche e francesi), rifinanziando la Grecia e pretendendo di cavare il sangue dalle rape. L’economia ellenica da allora si ridotta del 27%, mentre la disoccupazione è salita a livelli record del 28%. Con il crollo del Pil è anche aumentato il rapporto con il debito che ora supera il 175%. Numeri che da soli rendono l’idea della desertificazione economica in atto, allo stato attuale difficilmente reversibile anche con un ipotetico ritorno a una Dracma fortemente svalutata. Anche minimizzando le conseguenze immediate, quali il ripristino dei controlli valutari, le cause legali intentate dai creditori internazionali e la preclusione al mercato dei capitali per alcuni anni, per tacere delle turbolenze politiche, quali prodotti innovativi e servizi competitivi potrebbe offrire la Grecia a un’economia globalizzata?
Probabilmente ha ragione Varoufakis nell’affermare che non c’è alternativa a un’intesa. Tutto però dipende dal prezzo offerto. Quello richiesto dalle controparti di Atene è ancora troppo elevato.

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