Commento

Che fatica… chiedere scusa

27 novembre 2015
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Decine di migliaia di innocenti strappati ai genitori e ‘sequestrati’ dallo Stato: imprigionati, sterilizzati, piazzati a forza in istituti. La loro unica colpa era essere ‘illegittimi’, figli di madri sole, povere, vedove o di etnia nomade. A decidere non era un tribunale, ma spesso un giudice di pace, il sindaco, il notaio, il prete. Questo avveniva in Svizzera fino al 1981. Anche in Ticino come testimoniano varie storie: la prima, l’abbiamo raccontata quasi due anni fa su questo giornale. La terribile vicenda di Sergio Devecchi, 66 anni, figlio illegittimo nato a Lugano e internato in vari istituti religiosi, dove ha subito abusi sessuali e umiliazioni. L’uomo, ancora oggi, si chiede perché il parroco e le autorità di Lugano l’abbiano strappato a sua madre: lui che una madre l’aveva. Sempre su ‘laRegione’, un anno e mezzo fa, la signora Elisabetta M., 70 anni, ha ricordato quando, da adolescente, è stata sterilizzata, a sua insaputa, nell’istituto a Bombinasco, dove trascorreva l’estate con un centinaio di altri nomadi. A questa donna, lo Stato ha tolto il diritto alla maternità, perché era jenisch: la sua unica colpa era avere un padre nomade della Valle Onsernone. Queste sono due tra centinaia di infanzie rubate in Ticino: bambini ‘violati’ da chi doveva proteggerli. Perché tutto ciò è potuto accadere? Grazie alla ricostruzione di Pro Juventute (che si è scusata anni fa) sappiamo che tra il 1926 e il 1973, con l’aiuto delle autorità, la fondazione tolse ai loro genitori 600 bambini di famiglie nomadi: gran parte proveniva dai cantoni Grigioni, Ticino e San Gallo. L’80% venne collocato in istituti e riformatori, perché erano considerati (a torto) portatori di tare genetiche. Non erano malati, ma molti vennero internati in psichiatria. La vigilanza dello Stato era nulla. Sono vissuti che pesano come macigni su Mamma Helvetia, Cantoni e Città che li stanno elaborando da anni. Nell’aprile 2014 pubblicavamo le prime raccapriccianti storie, quattro mesi dopo una commissione istituita dal Decs iniziava ad occuparsi del tema: ieri è stata presentata una ricerca storica sul quadro legislativo di questi internamenti (cfr. servizio a pagina 4). Si parla di leggi e archivi, di oltre mille internamenti coatti. È un primo importante mattone, ma quando inizieremo a parlare di persone? Diverse vittime vivono ancora tra noi. E non sono più giovanissime. Qualcuno dovrebbe chiedere loro scusa, prima che sia troppo tardi. E di ritardo in Ticino ne abbiamo già accumulato. Due anni fa la ministra Sommaruga ha chiesto scusa a nome del governo elvetico. L’hanno fatto vari Cantoni e Città che stanno ricostruendo una dolorosa pagina della loro storia. Ben 16 anni fa, governo e parlamento retici, si sono scusati con i nomadi jenisch ricordando che «gran parte dei bimbi tolti ai genitori vennero internati in psichiatria». Orrori successi anche in Ticino, ma fatichiamo a guardarci, con onestà, allo specchio. Ci sono migliaia di vittime e dozzine di istituti coinvolti, educatori, religiosi, direttori… tante persone che c’erano. Ma il silenzio (anche della politica) è stato per anni assordante. Possibile che chi sgrana rosari e insegna il valore del perdono, non senta l’urgenza di fare chiarezza e ammenda? Eppure si impara alle Elementari: quando si sbaglia, si chiede scusa. Fa bene a chi lo fa e a chi lo riceve. (L’intero dossier su www.laregione.ch/dossier/internati)

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