Commento

Buone intenzioni, virus micidiali

12 marzo 2016
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Quando si legge del neonato ‘tavolo dell’economia’ attorno al quale sono stati convocati diciotto commensali che dovrebbero promuovere lo sviluppo dell’economia cantonale e aiutare a raggiungere obiettivi sul breve e medio termine, il pensiero corre a qualcosa di analogo creato cinquant’anni fa, forse più istituzionalizzato e pantagruelico, naufragato con un voluminoso rapporto di 400 pagine che rimane tra i monumenti più emblematici eretti alla Repubblica dell’iperbole.
Eppure, le intenzioni erano buone, l’impegno dei numerosi commissari, d’ogni provenienza, esemplare. Molti propositi scaturiti allora, rileggendoli, sono ancora degni di considerazione.
Prevalsero però tre virus storici e micidiali: quello del Ticino dei buoni propositi finiti in frascheria partitica o corporativa; quello del Ticino che si ritiene caso singolare e cerca sempre all’esterno sia la causa dei suoi mali sia la pozione magica che lo risistemi; quello del Ticino talmente inzuppato in dettagli, povertà culturale e divisioni che tirarlo fuori (come ammetteva un arguto consigliere di Stato, Bixio Celio) è sempre la quadratura del cerchio.
Quei virus non sono scomparsi e non sono neppure diventati meno attivi. Altrimenti non si spiegherebbe come ci si arrotola in problemi che, nonostante rodomontate politiche-partitiche, rimangono gli stessi. Bisognerebbe pensarci, senza disperare.
Tuttavia almeno due perplessità emergono. Con qualcosa del passato e molto del presente.
La prima è quella di rimanere avvoltolati in un contesto che potremmo definire ‘autistico’, ‘autoreferenziale’.
Si persiste entro un costrutto, ampolloso e tautologico, venduto come pluralistico, che è lo stesso che sinora non è riuscito a trovare vie d’uscita. Fallimentare, quindi. Dapprima, appare una preclusione evidente a portatori di idee nuove, non certificate od omologate. Anche se è vero, in generale, che questo non sembra un periodo fecondo di nuove idee: basta leggere alcuni recenti rapporti.
Poi, soprattutto, non si sente il coraggio della messa in discussione, che dovrebbe essere prioritaria, dell’unica idea imperante (e fallimentare) che ha retto sinora la politica: quella cioè di ritenersi nell’unico sistema economico perfetto, intoccabile.
Con il conseguente bisogno di sostenere approcci che giustifichino l’esistenza, la giustezza e la necessaria continuità di quel sistema, garante di un potere. Sarebbe logico partire da lì, ponendosi almeno qualche interrogativo.
La seconda è quella di promuovere un dialogo, ma un dialogo a cerchio chiuso, tra i soliti noti, con l’aggiunta di qualche tecnicismo. Si discuterà di economia, quindi di qualcosa che dovrebbe orientare le decisioni politiche, ma che, proprio per questo, influirà in modo significativo sulla vita di ognuno, della società. Forse, allora, bisognerebbe rendersi conto che lo scopo di un eventuale nuovo modo di impostare l’economia sta nel superare i semplici modelli meccanici per riuscire a sviluppare una intelligenza più esaustiva di quei processi che stanno minacciando il nostro tessuto sociale. Cuore e mente non possono essere dissociati in questa necessaria ricerca di una conoscenza più approfondita. Economia senza ‘cultura’ non porterà lontano.
Diceva un tale: il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.

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