Commento

Brutto ma buono e sostenibile

(Pablo Gianinazzi)
19 maggio 2017
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Le verdure indigeste dell’azienda Crotta a Muzzano, finita in un mare di guai per mancanza di igiene e pulizia (documentata dalla Rsi / Patti chiari), hanno fatto venire mal di stomaco a tanti in Ticino.

Soprattutto perché, frutta e verdura coltivate in Ticino sono il biglietto da visita di tanti supermercati in una società che privilegia sempre più il local rispetto al global: prima di nutrire la pancia, questi ortaggi devono sedurre l’occhio, ostentare bellezza e perfezione.

Avete mai notato le melanzane al supermercato? Sembrano appena lucidate. Le mele sono succose, invitanti, impeccabili: tutte della medesima grandezza. I pomodori rigorosamente sodi con una colorazione uniforme, senza sbavature e tutti (o quasi) dello stesso diametro. I limoni lindi, perfetti, ne senti quasi il profumo; l’insalata sembra appena colta dall’orto e le carote… senza macchie, tutte diritte e lunghe uguali, come se qualcuno le avesse misurate.

Più che da Madre Natura, questi prodotti sembrano fatti con lo stampino. Infatti nulla viene lasciato al caso. Come se un gruppo di cervelloni incravattati avesse deciso, ai piani alti di qualche costoso palazzo, che cosa milioni di noi consumatori dovevamo acquistare, apprezzare, mangiare. Quali sarebbero dovuti essere i nostri gusti, soprattutto quelli estetici nel fare la spesa, fissando misure, peso, gradazione di colore per ogni frutto e ortaggio. Riuscendo ad indurci a credere che un porro bello grosso rende migliore una zuppa; che cavolo e verza devono essere del formato giusto per stare comodi in pentola; che le fragole più buone sono quelle con un diametro superiore ai 25 millimetri. Tanti numeri e tanta psicologia: così come siamo portati a pensare che le persone di bell’aspetto sono più attraenti, di successo e in salute, lo stesso accade per ciò che mangiamo.

Imperfezioni e asimmetrie stridono con la percezione di cibo salutare. Qualità ed estetica sono diventate fattori chiave per la vendita. Ve lo raccontiamo in due pagine (la prima uscita ieri, la seconda oggi a pagina 2) che illustrano varie tappe di una quotidiana selezione di frutta e ortaggi da parte di chi li produce e li vende: solo i più sexy arrivano sul banco del supermercato.
Ma c’è un prezzo. Dietro a tanta ricerca di estetica c’è un grande spreco di cibo. Madre Natura, di tanto in tanto, fa carote storte, pomodori più piccoli o più grandi delle misure standard, cetrioli ricurvi o melanzane col naso. Cibi difettati, fuori calibro, cresciuti male, ma ottimi da mangiare. Sono prodotti brutti ma buoni, in sostanza.

Ci sono dei tentativi di metterli sul mercato, sono la nuova sfida del commercio etico e sostenibile, in una Svizzera che conta 570mila poveri (dati Ustat usciti proprio in settimana) e butta via ogni anno 2 milioni di tonnellate di cibo commestibile (fonte foodwaste).

Ma per riuscire a cambiare le attitudini del consumatore medio bisognerebbe prima sfatare un mito, ovvero l’equazione – tanto radicata – che bello uguale a buono.

E rinunciare a quel tripudio di colori e forme perfette che ci accoglie all’entrata del supermercato, un invito per i sensi. Se gli ortaggi sono impeccabili, anche carne e formaggi lo saranno. Questo pensa la mente, mentre allungate la mano verso un peperone giallo zafferano. Nulla è lasciato al caso, nemmeno mentre facciamo la spesa.

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