Chiasso

A Chiasso il Primo d'agosto è alternativo e aperto a tutti

(Benedetto Galli)
1 agosto 2017
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Lungo il lato di piazza Indipendenza che affaccia sul centrale Corso San Gottardo, a Chiasso, c'è chi ha voluto stendere dei teli a cui affidare poche semplici (ma chiare) parole. 'Patria e umanità' dice il primo. E a seguire: 'Umanità e giustizia, non carità'. E ancora: 'Nessun essere umano è illegale'. In città c'è aria di 'Primo d'agosto senza frontiere'. Ormai è diventata una consuetudine in questi anni. La mattina si danno due calci a un pallone; poi spazio al pranzo in comune, alla musica e a un momento di riflessione. Una festa alternativa, quella proposta da 'Stopallignoranza', che vuole mostrare il volto di una Svizzera “aperta ai migranti e ai richiedenti l’asilo, contraria alle esportazioni di armi, allo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, solidale con le organizzazioni terzomondiste”. Una festa a cui non manca, del resto, la presenza di rappresentanti politici locali e no. È lo spirito con cui partecipano a essere diverso.

Quest'anno, per sottolineare la ricorrenza, si è voluto dare spazio e ospitalità  in particolare a due testimoni del tempo che viviamo: il parroco di Rebbio don  Giusto Della Valle e Diego, «un semplice migrante come tanti altri e altre». Due voci per altrettante testimonianze di apertura in un periodo storico che tende ad alzare muri.

Oggi a Como, ha ricordato martedì don Giusto, si contano 1'500 migranti in tutto. Un numero significativo di persone alle quali le istituzioni, ha rimarcato il parroco, danno un'accoglienza di «basso profilo: la pancia piena, un vestito, un letto». Una forma di ospitalità su cui si investe parecchio, ha ribadito, ma che non prevede quella che dovrebbe essere la «risposta giusta: ovvero la possibilità di apprendere la lingua e di seguire un tirocinio formativo». Rebbio, ha spiegato ancora, è «un luogo aperto, nel quale si cerca di offrire una risposta dal basso, al fianco delle istituzioni». E ciò, ha concluso rivolgendosi anche ai richiedenti l'asilo che hanno pranzato con i residenti, «immaginandosi un mondo nuovo e aperto nelle relazioni, nel lavoro e nell'abitare».

Diego, dal canto suo, lo sa cosa vuol dire essere un migrante. Oggi vive qui. E anche lui ha voluto festeggiare questa giornata «in modo diverso». Un intervento appassionato il suo. «Noi – ha sottolineato in un passaggio – non vogliamo una Svizzera di dicorsi nazionalisti e populisti. Non accettiamo che si sporchi in questa maniera il sentire di una nazione. Perché la Svizzera, anche se a tanti darà fastidio sentirlo, è anche nostra, di tutti noi migranti. I quali, anche senza passaporto, senza gli stessi diritti, senza la stessa dignità, contribuiamo al benessere di tutta la società. Viviamo qui da anni – non nei posti dove siamo nati –, perciò dovremmo avere gli stessi diritti di quelli che sono qua. Giorno dopo giorno anche il nostro sforzo, il nostro sudore contribuisce alla crescita di questo Paese».

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