Uno studio ETH evidenzia l'impatto sociale della densificazione urbana sui nuclei familiari a basso reddito
La demolizione di edifici datati per ricostruire nuovi alloggi comporta la disdetta dei contratti di affitto, che colpiscono principalmente i nuclei familiari a basso reddito. Lo indica uno studio sulla densificazione edilizia realizzato dal Politecnico federale di Zurigo (ETH) e pubblicato oggi dall'Ufficio federale delle abitazioni (UFAB).
Per ovviare alla penuria di alloggi in Svizzera, una delle opzioni è demolire vecchi edifici per sostituirli con nuove costruzioni, afferma lo studio che si è concentrato sui cinque principali agglomerati svizzeri, ossia Basilea, Berna, Ginevra, Losanna e Zurigo. Con la riconversione delle superfici industriali, la demolizione e ricostruzione rappresenta oggi fino al 63% delle nuove costruzioni, mentre all'inizio degli anni 2000 era ancora un'eccezione.
Anche la sopraelevazione degli edifici esistenti è un'opzione considerata. Invece, secondo lo studio, non si costruisce ormai praticamente più su terreni non edificati.
Parallelamente, molti edifici esistenti devono essere ristrutturati per rispondere alle nuove norme energetiche, ha affermato il direttore dell'UFAB Martin Tschirren in un incontro con la stampa. Tutte queste attività edilizie hanno conseguenze sociali, modificando la composizione socio-demografica dei quartieri.
Sono infatti i nuclei familiari a basso reddito ad occupare gli edifici più vecchi, poiché generalmente gli affitti sono più bassi. Il reddito medio delle persone costrette a lasciare l'abitazione era infatti inferiore del 30%-40% rispetto alla media della popolazione, precisa lo studio.
Al contrario, i nuovi alloggi che li sostituiscono vengono occupati da persone con redditi superiori alla media del 15%-39%. Gli sfratti colpiscono quindi soprattutto individui che avranno probabilmente difficoltà a trovare alloggi a prezzi accessibili, viene sottolineato nella ricerca.
A essere particolarmente colpiti da questi fenomeni di sfratto sono richiedenti asilo, rifugiati riconosciuti e cittadini africani, ha spiegato David Kaufmann, professore all'ETH. La dottoranda Fiona Kauer ha aggiunto che anche l'età gioca un ruolo: le persone sfrattate avevano tra i 5 e i 12 anni in più, come valore mediano, rispetto a coloro che le hanno sostituite. Gli abitanti dei nuovi edifici sono così più giovani e con minore varietà generazionale. Quanto agli sfrattati, circa la metà di loro ha traslocato in un altro comune.
Lo studio mostra anche che la Svizzera tedesca è maggiormente interessata dal fenomeno rispetto alle città lemaniche, nonostante queste due regioni abbiano registrato l'attività edilizia più intensa. Tra il 2015 e il 2020, lo 0,08% della popolazione ginevrina è stato costretto a lasciare il proprio alloggio, contro l'1,02% a Zurigo.
Le differenze si spiegano con la diversa applicazione nei cantoni del diritto locativo stabilito a livello federale, ha spiegato Tschirren. A Ginevra e Losanna, ad esempio, sono state stabilite regole per evitare forti aumenti degli affitti dopo una ristrutturazione. Tuttavia, "c'è maggiore libertà" nella determinazione dei canoni in caso di demolizione e ricostruzione, ha precisato il direttore dell'UFAB.
Più in generale, lo studio traccia un primo bilancio dopo l'approvazione popolare, nel 2013, della revisione della Legge sulla pianificazione del territorio. Lo sviluppo centripeto degli insediamenti è uno dei suoi obiettivi.
Nel dettaglio, tra il 2020 e il 2023 si è costruito tra il 34% (a Berna) e il 110% (a Ginevra) di alloggi in più rispetto al periodo 2000-2004. Solo l'agglomerato di Zurigo ha registrato un leggero calo, del 7%. Una tendenza simile è osservata anche per quanto riguarda l'aumento netto della superficie abitativa.