Il nuovo consigliere federale è Martin Pfister. Abbiamo seguito l’elezione assieme a Georges Plomb, il decano dei giornalisti di Palazzo federale
“Was ist los mit Monsieur Plomb?”, chiediamo alla collega romancia che siede di fronte a noi. “Non lo so, non l’ho visto in giro”.
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Berna, Medienzentrum, lunedì 3 marzo, ore 14: è il primo giorno della sessione primaverile delle Camere federali. La postazione occupata al quinto piano dal decano dei giornalisti di Palazzo federale è vuota. Sulla sua scrivania, sempre ingombra di giornali, libri, documenti e materiale vario, non c’è quasi nulla: un vecchio manuale dell’Assemblea federale, due vecchie cartine di Berna, quattro penne biro (nuove), alcune mappette, tre cavi arrotolati. In bella mostra, la prima edizione del ‘Dictionnaire biographique des cent premiers conseillers fédéraux’ (Editions Cabédita, 1993) di Urs Altermatt, la ‘bibbia’ per chiunque si interessi della storia del Consiglio federale. Alla parete, sotto l’abbaino, una fotografia ritratto del generale Guisan. Del nostro uomo, nessuna traccia.
Chiediamo a un collega. Nemmeno lui sa qualcosa. A un altro: “È da gennaio che manca. Camminava a fatica. Quando arrivavo la mattina avevo paura di ritrovarmelo qui, dato che la sera era sempre l’ultimo ad andarsene”. Scendiamo al pianterreno. In segreteria ci informano che ha avuto “problemi di cuore” e che ormai – a 87 anni suonati e piuttosto male in arnese (“Moyennement, moyennement”, “Mediamente, mediamente”, rispondeva negli ultimi tempi quando gli chiedevamo come stava) – non riesce più a venire al Medienzentrum. Ci danno il suo indirizzo.
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Berna, casa di riposo Domicil Alexandra, mercoledì 5 marzo, ore 11: siamo a Elfenau, l’elegante e placido quartiere delle ambasciate, dall’altra parte dell’Aar. Georges Plomb è nella stanza numero 8. Quando entriamo è seduto a un tavolo, curvo sul suo computer portatile. La ‘Nzz’ e un paio di altri giornali sono sul girello posteggiato vicino all’ampia vetrata che dà sul terrazzo (anni fa confidò alla ‘Aargauer Zeitung’ di leggere fino a 12 giornali svizzeri al giorno, oltre a ‘Le Monde’ e al ‘New York Times’).
Gli portiamo il libro di Altermatt. Dice che gli piacerebbe averne anche altri, prima o poi, fra quelli lasciati nell’armadio al Medienzentrum e che non ha ancora potuto recuperare: la nuova edizione del libro di Altermatt (il ‘Bundesratslexikon’), ad esempio; ma anche i vocabolari, o i volumi sui generali Guisan e Dufour (“figure fondamentali in due momenti storici come la guerra del Sonderbund e la Seconda guerra mondiale, in cui la Svizzera ha rischiato di disgregarsi”).
Oggi scrive un articolo su Trump, per il blog ‘Les lauriers de Georges Plomb’. È qui che da anni pubblica quasi ogni giorno le sue riflessioni – con frasi concise, spesso telegrafiche – sull’attualità svizzera e internazionale. Ha smesso solo tra l’11 e il 27 gennaio, quando è stato male. Ma da allora ha ripreso il ritmo abituale. E la curiosità è quella di sempre: “La politica svizzera non è mai stata così appassionante come oggi, non trova?”; “E in Ticino? L’Udc sta davvero rubando voti alla Lega?”
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La sua assenza si sente. Non che fosse mai stato loquace. Anzi. Ma a volte ci si fermava a chiacchierare: la politica svizzera (“Et Cassis?”, era una delle sue domande ricorrenti), quella ticinese, il nostro giornale (“Et laRegione?”), la storia (un suo classico: i consiglieri federali), persino la sua famiglia (è nato a Milano, figlio di un ginevrino e di una olandese che nel 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali, lasciarono l’Italia per stabilirsi a Losanna). Pochi minuti, ognuno seduto sulla propria sedia, a un paio di metri di distanza l’uno dall’altro. Brevi escursioni retoriche. Quanto bastava per spezzare il tenace stress delle lunghe giornate trascorse a Berna durante le sessioni parlamentari.
Dicevamo: ci eravamo abituati ad averlo alle spalle, e adesso – vedendo quella sedia vuota – sentiamo una punta di nostalgia. Soprattutto la sera, verso le 18.30. Quando per noi è il momento di tirare le fila, e a volte siamo in affanno, lui – nell’attesa del ‘19.30’, il telegiornale della Rts – immancabilmente lasciava cadere la penna, collegava al Pc delle vecchie cuffie, chiudeva gli occhi e si metteva (ci mettevamo, in realtà: la musica filtrava, e chiunque fosse nei paraggi la sentiva) ad ascoltare vecchi brani jazz, muovendo la testa e scandendo il ritmo col piede sul pavimento (Georges Plomb fondò il Jazzclub Lausanne nel 1959, l’anno della ‘formula magica’ di governo: “Il jazz, quello di Louis Armstrong e Duke Ellington, e la politica: sono i due motori principali della mia curiosità”). Poi, attorno alle 20 (a volte anche più tardi), si alzava, indossava il cappotto, si metteva lo zainetto sulle spalle, spegneva la lampada e s’incamminava verso l’ascensore. “Au revoir Monsieur Plomb”; “Au revoir!”.
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Andiamo su Wikipedia:
“Georges Plomb, nato nel 1938, è un giornalista svizzero di origine ginevrina. È un attento osservatore della vita politica. Nel 1968 è stato corrispondente parlamentare per ‘24 Heures’ [il primo articolo sulla politica svizzera lo scrisse l’anno prima, da praticante alla ‘Feuille d’Avis de Lausanne’, ndr], poi per i quotidiani ‘La Suisse’, ‘Le Matin’ e ‘L’Illustré’. In seguito è passato all’audiovisivo come rappresentante della Télévision Suisse Romande. Tornato alla stampa scritta, è stato corrispondente de ‘La Liberté’ fino alla fine di giugno 2003’. Quando Georges Plomb ha iniziato il suo lavoro a Berna, i parlamentari erano vestiti di nero e i giornalisti si alzavano in piedi quando un consigliere federale arrivava per una conferenza stampa. Nel 1989 ha scritto un libro sui Sette Saggi, che inizia con le parole: ‘Viva il Consiglio federale!’ Georges Plomb ha conseguito un dottorato in scienze politiche all’Università di Losanna ed è stato docente all’Università di Ginevra” e di Neuchâtel.
Andrea Arcidiacono, portavoce del Consiglio federale ed ex giornalista, così lo ricordava mesi fa su queste colonne: “[Nella Berna federale dei primi anni 90, quando non c’erano né Internet né i social media] Stavamo nella ‘cave’ [cantina in italiano, ndr], nel piano interrato di Palazzo federale, detta così perché non c’erano finestre. C’erano giornalisti e corrispondenti da tutta la Svizzera. Grandi firme: come Georges Plomb, corrispondente de ‘La Liberté’, che per noi giovani era una specie di mito e a me sembrava un personaggio uscito da un film (...)”.
Nel 2003, quando andò ufficialmente in pensione, il Consiglio nazionale gli tributò un applauso lungo venti secondi.
Gli articoli che da una quindicina d’anni appaiono nel suo blog? “Onestamente, li scrivo solo per me” (‘Aargauer Zeitung’, 26 gennaio 2017).
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Berna, casa di riposo Domicil Alexandra, mercoledì 12 marzo, ore 8: siamo davanti al piccolo schermo del nostro portatile. Georges Plomb è seduto accanto, in un’ampia poltrona gialla. Sulle ginocchia ha il ‘Bundesratslexikon’ di Altermatt, che gli abbiamo portato. Sul tavolo, un bloc notes con gli appunti per un prossimo articolo. Un aereo passa sopra la nostra testa, diretto al vicino aeroporto di Belp. La radio è accesa da un po’. Sta cercando di captare le novità dell’ultimo minuto. Ma “non ce ne sono”.
L’Assemblea federale si appresta a scegliere il successore di Viola Amherd. Per Georges Plomb questa è l’ennesima elezione del Consiglio federale (di rinnovo integrale, dopo le elezioni federali; o suppletiva, per rioccupare uno o più seggi lasciati vacanti) “da quando sono professionista”. La prima – una doppia suppletiva – fu nel 1969: Brugger per Schaffner (Plr), Graber per Spühler (Ps). L’odierna elezione sostitutiva è la prima da oltre mezzo secolo che il giornalista non segue sul campo.
Georges Plomb (Gp): “Alors, Ritter ou Pfister?”
‘laRegione’: “Quasi tutti dicono Pfister”.
Gp: “Ah, allora anche i contadini hanno nemici”.
‘laRegione’: “A quanto pare sì”.
‘laRegione’: “Viola Amherd è stata una buona consigliera federale, tutto sommato”
Gp piega la testa da un lato: non è persuaso. “Sì, ma non ha il brio di Karin Keller-Sutter”.
La presidente del Consiglio nazionale Maja Riniker tesse le lodi della consigliera federale uscente. Gp: “‘Finalmente delle belle parole per me’, si starà dicendo. Perché di recente non sono state tante”.
Primo turno: Pfister 123 voti, Ritter 105, diversi 18.
Gp: “Allora vince Pfister. Per gli agricoltori sarebbe una sconfitta. Sento che l’elezione avrà luogo al secondo turno”.
Secondo scrutinio: Pfister eletto con 134 voti, Ritter 110, diversi 1.
Gp: “Il terzo consigliere federale di Zugo, dopo Etter e Hürlimann. Il Sonderbund [l’alleanza creata nel 1845 tra otto cantoni cattolici e conservatori per difendere i propri interessi contro i piani di centralizzazione del potere messi in atto dalla Confederazione e dai cantoni radicali e liberali, ndr] non è morto! Certo però che due donne su otto in governo... troppo poche”.
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La vigilia, sul ‘New York Times’, la figlia di Ronald Reagan ricordava l’unica volta in cui il padre le parlò del perché volesse diventare presidente. Era la notte dell’Inauguration Day, il 20 gennaio 1981, alla Casa Bianca, nella Lincoln Bedroom: “Credo davvero di poter rendere questo mondo un posto più sicuro e più pacifico. Per questo mi sono candidato”. Una cosa colpì Patti, che in seguito criticherà pubblicamente alcune decisioni del padre-presidente: lui “parlava del mondo, non dell’America”.
Tre settimane prima Kurt Furgler (Ppd) era diventato per la seconda volta presidente della Confederazione. Il sangallese è stato citato ad esempio dal neoeletto Pfister (anche da Ritter, peraltro). Il miglior consigliere federale, per Georges Plomb (che ne ha ‘conosciuti’ 42, “un terzo dei 123 eletti dal 1848”)? “Tschudi, poi Furgler”. Furgler, di nuovo.
Chiediamo a Georges Plomb: il mondo del 1981, in piena Guerra fredda, era migliore? “Non lo possiamo dire. Anche allora c’erano molti conflitti. Ma oggi è più pericoloso”. Dobbiamo rimpiangere un Ronald Reagan? “Le differenze con Trump sono enormi”. E la Svizzera, in questo mondo sconvolto? “Se la cava piuttosto bene. Il Consiglio federale ha trovato un buon equilibrio”. Un buon equilibrio, e un nuovo ‘saggio’ che non lo perturberà. “Come consigliere di Stato di Zugo [il principio di collegialità] è sempre stato più un piacere che un peso. Questo per me non cambierà come consigliere federale”, ha detto Martin Pfister. Il piccolo mondo elvetico può anche stare “mediamente, mediamente”, ma resta fedele a sé stesso. Capiti quel che capiti. Questione di (a)Plomb.