Martin Pfister parla di sé, dell’incontro con la politica federale, di esercito e Ddps. ‘Centrale la questione della fiducia nel sistema di difesa’
Nella stanza c’è un busto di Philipp Etter: sull’illustre conterraneo, consigliere federale tra il 1934 e il 1959, Martin Pfister negli anni 90 aveva abbozzato una tesi di dottorato all’Università di Friburgo, sotto l’ala del professor Urs Altermatt, lo storico del Consiglio federale, la cui prima edizione del ‘Bundesratslexikon’ – la ‘bibbia’ per chiunque si interessi di questa materia – fa bella mostra di sé su uno scaffale, a fianco di cinque volumi del ‘Dizionario storico della Svizzera’. Nella luminosa sala riunioni del dipartimento cantonale della sanità – in mezzo un grande tavolo rotondo in legno massiccio, vista lago, il Pilatus sullo sfondo (il Rigi invece è avvolto dalle nubi e oggi non si vede) – Pfister si scusa subito per i tre minuti di ritardo, dovuti alla “riunione del Consiglio di Stato”.
Di lì a poco quest’uomo affabile, spesso sorridente e dalla statura imponente si scusa anche per il suono proveniente ogni tanto da uno strano oggetto che pare abbandonato al suolo, in un angolo. L’esile struttura metallica poggia su otto bacchette e ingloba una plastica trasparente, di quelle che si usano per proteggere gli oggetti da trasportare. Ogni tanto emette un sibilo. Ma “solo quando nella stanza c’è qualcuno”, altrimenti “l’animale” – un’opera dell’artista Quido Sen chiamata ‘Weisses Tier’, ‘Animale bianco’ – tace. In presenza di umani di solito poi “respira”, cioè si gonfia e si sgonfia. Da qualche tempo però “non funziona più: abbiamo già chiesto di ripararlo”, spiega al termine dell’intervista numero “sinceramente non lo so” il candidato ufficiale del Centro alla successione di Viola Amherd in Consiglio federale.
Di questi tempi il 61enne consigliere di Stato è “molto spesso a Berna”, per farsi conoscere dai parlamentari che a malapena sanno chi è. Pfister però ha “l’ambizione di svolgere al meglio anche i miei compiti qui a Zugo”. Almeno fino ad oggi. Poi, nelle ultime due settimane prima dell’elezione (12 marzo), si dedicherà solo alla promozione della sua candidatura. Così gli aveva suggerito di fare la consigliera agli Stati Petra Gössi (Plr/Sz). “I suoi consigli erano perfetti, li sto seguendo”, afferma.
Signor Pfister, lei non è membro dell’Assemblea federale. Come sta cercando di ridurre l’handicap dell’outsider?
Ogni giorno faccio passi avanti. Approfondisco i dossier. I colloqui con i parlamentari mi permettono di capire quali sono le loro esigenze, cosa si aspettano da me come candidato. Questo mi aiuta molto nella preparazione degli hearings [le audizioni davanti ai gruppi parlamentari, ndr]. Col francese va meglio, con l’italiano ho promesso a un suo collega che lo parlerò.
Su chi sta concentrando i suoi sforzi?
Parlo con tutti. Alcuni vengono spontaneamente da me per conoscermi. Da parte mia, ho cominciato con i membri del gruppo del mio partito. Poi sono passato ai parlamentari della mia regione, la Svizzera centrale, e dei cantoni a nord e a est. Nel frattempo, quasi tutti i parlamentari e le parlamentari hanno ricevuto un invito a un colloquio da parte mia. Sono lieto di poter condurre il maggior numero possibile di colloqui nei prossimi giorni.
Senza i voti dei gruppi Udc e Plr, la porta del Consiglio federale rimarrà chiusa per lei. Come pensa di guadagnare punti a destra del Centro?
Parlo con tutti, come detto. Anche con i parlamentari di Udc e Plr. I colloqui vanno bene: vengo considerato un affidabile politico del Centro. Ciò che in effetti sono: non voglio piegarmi a destra o a sinistra. Sono un politico del Centro: ho chiare convinzioni, sono capace di lavorare in un organo collegiale, cerco posizioni di compromesso, lascio che anche le opinioni della destra e della sinistra confluiscano nelle decisioni che prendo. I parlamentari alla destra del Centro si rendono conto poi che condividiamo gli stessi valori liberali. Provengo da un cantone e rappresento un partito che porta avanti questi valori, anche in campo economico, naturalmente nel rispetto della responsabilità sociale.
I contatti con i media, gli scambi con i parlamentari a Berna, familiarizzare con i dossier politici a livello nazionale: qual è la cosa più difficile?
Devo ammettere che non è facile in questo breve lasso di tempo [fra l’annuncio della candidatura il 3 febbraio e l’elezione del 12 marzo, ndr] far incastrare tutte queste cose. Ma la cosa mi piace e sono molto motivato.
Mancano pochi giorni alle prime audizioni: la pressione aumenta.
Sento che il tempo corre, questo sì. Ma sono abituato a lavorare sotto pressione. E lo faccio restando calmo: fa parte della mia persona. Sento piuttosto la determinazione aumentare, man mano che la scadenza si avvicina.
Dove o come riesce a tirare il fiato, a recuperare le forze?
Non faccio fatica a sopportare certi ritmi, quando ciò che faccio mi dà piacere. Ho anch’io i miei rituali quotidiani per recuperare le forze: come leggere un libro, o semplicemente parlare con i miei famigliari. Ma non di politica.
Suona in una guggen. Quest’anno lo trova il tempo per il carnevale?
Non ufficialmente, al massimo in incognito [ride].
Lei non perde occasione per rimarcare le differenze con il suo concorrente. In cosa consistono?
Siamo entrambi politici del Centro, condividiamo gli stessi valori. Ma siamo diversi, sia sul piano personale che su quello politico. La mia origine è piuttosto urbana. Da storico, cerco nel passato della Svizzera insegnamenti che possano servire per il futuro. Sono molto aperto sui temi di società, mi sento parte dell’ala liberale del Centro, anche sulle questioni economiche. Sono colonnello dell’esercito, conosco l’esercito e la difesa dall’interno. Assumerei la responsabilità del Dipartimento della difesa in modo molto deciso e ben strutturato.
Da candidato della Svizzera urbana e accademica, cos’ha da offrire all’“altra Svizzera”, quella rurale e contadina, che il suo rivale rappresenta?
Qui nel Canton Zugo si vede bene come la Svizzera urbana/internazionale e quella rurale coesistano armoniosamente. Io d’altronde sono nato e vivo in un piccolo villaggio. Conosco i bisogni e i valori delle persone che abitano in campagna.
Markus Ritter dichiara a gran voce le sue ambizioni e si presenta come l’uomo forte. Lei invece resta sulle sue. Alcuni ritengono che non abbia la capacità di imporsi necessaria per mettere ordine nel Dipartimento federale della difesa (Ddps).
Le persone che mi conoscono sanno che ho questa capacità. Se qualcuno mi considera gentile, lo considero un complimento. Però se mi si riduce solo a questo, mi si sottovaluta nettamente. Da consigliere di Stato ho dimostrato di essere pronto a far passare decisioni impopolari, ad esempio in materia di pianificazione ospedaliera e di gestione delle autorizzazioni per l’apertura di nuovi studi medici. Sono convinto che un politico debba prendere decisioni per il futuro. E a volte queste non coincidono con interessi particolari a corto termine.
Viola Amherd lascia un dipartimento con molti cantieri aperti. Da dove pensa di cominciare?
Nel Ddps ci sono molti problemi strutturali, molti problemi organizzativi e di personale [le dimissioni del capo dell’esercito Thomas Süssli sono state rivelate proprio durante l’intervista, ndr]. In generale, è necessaria una chiara strategia del Consiglio federale per la difesa nazionale. Da parte mia, cercherò anzitutto di capire quali settori funzionano bene nel Ddps, quali persone lavorano bene: tutto questo va rafforzato. Poi andranno affrontati i molti cantieri aperti, tra cui lo scandalo Ruag [il rapporto del Controllo federale delle finanze è stato pubblicato da poche ore, ndr]. Nei primi mesi è necessario porre le domande giuste, effettuare le analisi necessarie e adottare le prime misure. Abbiamo le persone giuste al posto giusto? Sono giusti i compiti affidati loro? Il lavoro è organizzato correttamente? In un momento storico come questo, con la guerra tornata in Europa, l’esercito svizzero ha un’enorme necessità di recuperare il ritardo accumulato. Non possiamo permetterci di sprecare soldi e personale. Dobbiamo impiegare le risorse in modo mirato ed efficiente, affinché la capacità di difesa delle forze armate venga ristabilita al più presto.
Lo scandalo Ruag però rischia di incrinare la fiducia nel sistema di difesa. È d’accordo?
Sì. La questione della fiducia – da parte della politica e dell’opinione pubblica – è centrale. Il nuovo responsabile del dipartimento dovrà ripristinarla in tempi rapidi, affrontando subito i punti dolenti. Con le persone giuste ai posti chiave del Ddps e dell’esercito.
Sul caso Ruag la sinistra chiede una commissione parlamentare d’inchiesta. Concorda?
Non ho ancora letto il rapporto del Controllo federale delle finanze. Da quello che ho potuto leggere sui giornali, non ho l’impressione che al momento vi siano gli estremi per istituire una simile commissione. Una cosa è chiara però: il Ddps deve trarre i giusti insegnamenti da quanto accaduto.
L’aumento del budget dell’esercito passa da una massiccia riduzione delle spese in numerosi settori, cooperazione internazionale inclusa. Non si dovrebbe pensare anche a un aumento delle imposte, anziché agire soltanto sul fronte delle uscite?
Sostengo il pacchetto di risparmi che il Consiglio federale ha appena inviato in consultazione. Ci si può chiedere se basterà, perché le spese nei prossimi anni sono destinate a crescere ulteriormente – non solo per l’esercito, anche per l’Avs o l’asilo ad esempio. È giusto che si pensi dapprima a misure per migliorare l’efficienza e a ridurre le spese. Temo però che non sarà sufficiente e che prima o poi occorrerà ragionare anche su un aumento delle imposte.
Markus Ritter dice di voler assumere la direzione del Ddps e di non volerla mai più lasciare. Lei potrebbe immaginare di fare le valigie dopo pochi anni, alla prima buona occasione?
Nel caso venga eletto, salute permettendo rimarrò almeno sette anni – due legislature – in Consiglio federale. In generale, ritengo importante che chi assume la direzione di un dipartimento – il Ddps nella fattispecie – offra una prospettiva a lungo termine. Ma nessuno, nemmeno Markus Ritter, può sapere adesso come il Consiglio federale ridistribuirà un giorno i dipartimenti.
Il Parlamento svizzero vuole aumentare la franchigia di base dell’assicurazione malattie obbligatoria, facendo in modo che questa rispecchi meglio l’attuale situazione dei costi della salute. È favorevole?
La franchigia minima non viene adeguata da molto tempo. Sostengo la posizione del Consiglio federale, che è favorevole. Questa misura farebbe diminuire un po’ i premi e avrebbe un effetto calmierante sui futuri aumenti.
Ogni cantone ha la sua pianificazione ospedaliera e il coordinamento intercantonale avviene in maniera sporadica. Una mozione del consigliere nazionale Patrick Hässig (Pvl/Zh) chiede che Confederazione e cantoni si suddividano la responsabilità. Cosa ne pensa?
C’è margine di miglioramento per quanto riguarda il coordinamento a livello regionale. La mozione Hässig chiede che la Confederazione abbia un ruolo centrale. Sono del tutto contrario a questo cambio di paradigma. La responsabilità deve restare in mano ai cantoni, che però – come detto – devono coordinare meglio le loro pianificazioni. Il bisogno di fare qualcosa comunque è riconosciuto. Nel nostro piccolo cantone, ad esempio, da tempo pianifichiamo tenendo conto dell’offerta sanitaria dei cantoni di Zurigo, Lucerna e Argovia.