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Segnali di fumo sulle misure anti-dumping

Divieto di lavoro per chi sgarra, stop ai pagamenti: il direttore dell’Unione svizzera degli imprenditori avanza qualche idea

La presidente della Confederazione Viola Amherd e quella della Commissione europea Ursula von der Leyen lo scorso 20 dicembre a Berna
(Keystone)
14 gennaio 2025
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Tutti sanno che, senza il sostegno dei sindacati, la sorte dei cosiddetti ‘Bilaterali III’ è segnata. Per questa ragione la protezione salariale è forse il principale nodo politico da sciogliere nel pacchetto di accordi negoziato tra Berna e Bruxelles per stabilizzare e sviluppare la via bilaterale, imboccata 25 anni fa. In Svizzera i partner sociali cercano da mesi di mettersi d’accordo su misure accompagnatorie interne, in grado di compensare i rospi che i diplomatici elvetici hanno dovuto ingoiare al tavolo negoziale. Finora le discussioni – oltre 50 incontri, svoltisi sotto l’egida della Segreteria di Stato dell’economia (Seco) – non hanno prodotto risultati concreti. I sindacati di recente hanno addirittura alzato il tiro, almeno sui media. E così si è rafforzata l’impressione che lo stallo su questo fronte si stia prolungando. Proprio quando il tempo stringe: alle parti non resta che un mese e mezzo circa per arrivarne a una.

Rinnovati segnali di fumo giungono in questi giorni dal campo padronale. Precisamente dall’Unione svizzera degli imprenditori (Usi). In un’intervista ai giornali di CH Media, il suo direttore Roland Müller si mostra fiducioso: “Parto dal principio che troveremo soluzioni in molti settori”. L’obiettivo, condiviso da sindacati e organizzazioni padronali, è questo: mantenere il livello di protezione attuale dei salari e delle condizioni lavorative del personale distaccato, evitando in tal modo che le imprese europee che inviano temporaneamente i loro lavoratori in Svizzera facciano concorrenza sleale alle aziende elvetiche. Sul come arrivarci però i pareri divergono.

‘Ideologia sindacale’

Roland Müller comunque scarta in partenza le rivendicazioni “ideologiche” della controparte, bollate come “ingerenze nel flessibile mercato del lavoro” elvetico che “non hanno alcuna relazione” con la problematica dei lavoratori distaccati. Il direttore dell’Usi menziona tra le altre cose il rafforzamento della protezione dal licenziamento e salari minimi generalizzati, così come l’allentamento dei criteri in base ai quali i contratti collettivi di lavoro (Ccl) potrebbero essere dichiarati di forza obbligatoria in settori che attualmente ne sono sprovvisti.

Per contro, l’Usi è pronta a “esaminare seriamente” diversi strumenti. Tra questi, il divieto di lavoro per le aziende che non si conformano alle regole elvetiche, oppure ancora il blocco dei pagamenti da parte dei committenti in Svizzera alle aziende europee che praticano il dumping salariale. In discussione vi è pure il rafforzamento della ‘Bau-Card’, una sorta di accreditamento per le aziende del settore edile che dimostra il rispetto di tutte le regole. Alcune di queste idee erano già state ventilate a fine dicembre dal presidente dell’Usi Severin Moser in un’intervista ai giornali di Tamedia.

I sindacati, dal canto loro, non hanno dubbi: il pacchetto negoziale peggiora la protezione salariale. Per svariati motivi. Ad esempio: a un’impresa dell’Ue basterà annunciarsi quattro giorni prima (non più otto) per distaccare i propri lavoratori nella Confederazione (e un progetto pilota condotto la scorsa estate a Basilea-Campagna ha dimostrato che il dimezzamento del termine di preavviso riduce in maniera significativa portata ed efficacia dei controlli). Inoltre, soltanto le imprese che in passato hanno violato le regole (e non più tutte, come accade oggi) saranno obbligate a versare una cauzione. E ai lavoratori ‘distaccati’ le spese del soggiorno in Svizzera verrebbero rimborsate secondo le condizioni del Paese di provenienza, assai meno generose di quelle in vigore nella Confederazione. “I lavoratori provenienti dagli Stati Ue dormiranno sui cantieri o nei furgoni”, ha messo in guardia Daniel Lampart, capo economista dell’Unione sindacale svizzera (Uss).

Settimane decisive

Le organizzazioni padronali accusano i sindacati di “fare di una mosca un elefante” (così il presidente di Swissmem Stefan Brupbacher al ‘Blick’ a fine dicembre). La questione riguarda a loro avviso solo pochi settori e lavoratori. La regolamentazione sui rimborsi invisa all’Uss interessa solo lo 0,3% dei posti di lavoro in Svizzera (17mila ‘distaccati’ su un totale di 5,2 milioni di lavoratori), hanno fatto notare lunedì ‘24 Heures’ e ‘Tribune de Genève’ sulla base dei dati 2023 della Seco. Gli svantaggi derivanti dal dimezzamento del termine di preavviso? Potranno essere neutralizzati “facilmente” grazie a “nuove soluzioni digitali” che snelliranno la procedura di notifica, oggi alquanto macchinosa, afferma Roland Müller.

“Gli obiettivi dei negoziati sono stati raggiunti”, ha messo nero su bianco il Consiglio federale. In dicembre, annunciando la conclusione ‘materiale’ delle trattative, l’Esecutivo aveva detto di ritenere sostanzialmente garantito il livello di protezione salariale svizzero. Salvo poi essere corretto dalla segretaria di Stato all’economia Helene Budliger Artieda, che ha parlato invece di “certi passi indietro”. Se sindacati e datori di lavoro riusciranno a intendersi (oppure se dovrà imporsi la Seco) sulle misure d’accompagnamento interne destinate a colmare la lacuna venutasi a creare (o a offrire “una garanzia supplementare”, nell’interpretazione che fa il Governo), lo sapremo nelle prossime settimane.