La votazione del 2022 verrà annullata, in parte o in toto? Ne abbiamo parlato con i consiglieri nazionali e avvocati Jessica Jaccoud e Simone Gianini
Il 1o gennaio 2025 l’età di pensionamento delle donne (64 anni) verrà innalzata di tre mesi; in seguito, al ritmo di tre mesi all’anno, passerà a 65 anni a inizio 2028. A meno che giovedì il Tribunale federale (Tf) decida altrimenti, accogliendo i ricorsi che chiedono l’annullamento e la ripetizione della votazione del 25 settembre 2022 sulla riforma ‘Stabilizzazione dell’Avs’ (o Avs 21). Uno scenario non inverosimile, che trae origine dal pasticcio sulle prospettive finanziarie del primo pilastro emerso a inizio agosto (vedi sotto). Sarebbe la seconda volta che una votazione federale viene invalidata (vedi box nella foto).
Vada come vada, il fatto che i giudici di Mon Repos abbiano deciso di esprimersi in una seduta pubblica la dice lunga sull’importanza del tema. La dice ancor più lunga su quanto la questione sia controversa Simone Gianini, consigliere nazionale del Plr e avvocato: “Rimettere in discussione la volontà popolare – quasi ‘sacra’ in Svizzera – è cosa assai delicata. A posteriori, gli uni o gli altri potranno sempre trovare un appiglio per contestare l’esito di una votazione popolare. E da lì a insinuare il dubbio che qualcosa non va nella nostra democrazia diretta (com’è stato fatto di recente nel caso delle firme falsificate raccolte a pagamento), il passo può essere breve. Per questo l’asticella viene posta molto in alto. Ed è un bene che sia così”. La consigliera nazionale Jessica Jaccoud (Ps/Vd), anch’essa avvocata, evoca proprio la questione istituzionale: “In una democrazia diretta, è essenziale che il popolo si fidi delle informazioni che le autorità forniscono: il voto deve poter essere espresso in piena conoscenza di causa. Se queste informazioni non erano veritiere, allora bisogna dare al popolo la possibilità di esprimersi nuovamente”.
Per il deputato di Bellinzona è chiara una cosa: il Tf è “combattuto”. “Non tutti i giudici sono d’accordo sull’esito da dare ai ricorsi, altrimenti non avrebbero indetto una seduta pubblica che consente loro di mettere sul tavolo, anche davanti all’opinione pubblica, tutti gli elementi per decidere”. Gianini non scommetterebbe sulle possibilità di riuscita dei ricorsi: “Sarei abbastanza sorpreso se venissero accolti”. I ricorrenti e i loro sostenitori sono convinti invece di avere ottime carte da giocare. La vodese ricorda che, sia nei dibattiti parlamentari, sia durante la campagna in vista della votazione, “l’argomento principe – per non dire l’unico – addotto a favore dell’aumento dell’età di pensionamento delle donne era stato quello della necessità di colmare una parte del previsto deficit finanziario dell’Avs. Alla luce di quanto emerso successivamente, ci si può legittimamente chiedere se popolo e Parlamento non avrebbero preso decisioni differenti, qualora le cifre fossero state corrette. Anche perché la riforma è stata approvata con un margine molto ristretto”.
Più si entra nel merito, più Gianini è perplesso. L’Alta Corte – spiega – dovrà stabilire anzitutto “quanto l’errore di calcolo, la cui portata nel frattempo si è di molto ridimensionata, abbia potuto influire sul voto popolare”. Senza dimenticare che in gioco, a seguito delle proiezioni sballate dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas), non vi è una differenza fondamentale, ovvero tra “un profondo rosso e un utile a lungo termine” nelle casse dell’Avs, bensì ‘solo’ “tra un profondo rosso e un rosso un po’ meno profondo”. Insomma, errori di calcolo o no, “nella sostanza ben poco cambia, dato che in ogni caso misure di riequilibrio finanziario – come appunto la parificazione dell’età di pensionamento – si rendevano necessarie”.
I risultati ‘rassicuranti’ dell’inchiesta amministrativa ordinata dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider (Ps), rivelati la scorsa settimana, potrebbero avere un certo peso nella valutazione che sono chiamati a fare i giudici di Mon Repos. Il consigliere nazionale liberale radicale ne trae un’ulteriore conferma dell’impressione che si è fatto in questi mesi: “Non mi sembra che ci si avvicini a questa udienza pubblica con enormi differenze rispetto a quanto si conosceva al momento della campagna di votazione, dove peraltro centrale era stato anche il discorso sull’uguaglianza tra uomo e donna”. Jessica Jaccoud la vede diversamente: “Il nostro ricorso non porta su quanto è successo e su eventuali responsabilità in seno all’Ufas e al Dipartimento federale dell’interno. I risultati dell’inchiesta amministrativa non c’entrano con la questione da dirimere. Alla fine conta una sola cosa: il fatto che le prospettive finanziarie presentate al popolo e al Parlamento fossero errate”.
Benché sottoposti a votazioni distinte, i due ‘volets’ di Avs 21 formavano un tutt’uno: se anche solo uno dei due fosse stato respinto, l’intera riforma sarebbe caduta. Può ora il Tf limitarsi ad annullare il voto sulla pensione a 65 anni per le donne, esimendosi dal toccare quello sull’aumento dell’Iva (i Verdi chiedono in via sussidiaria di invalidare anche quest’ultimo)? La deputata socialista parte dal principio che sia “possibile”: “Si è trattato di due voti comunque differenti, e gli errori di calcolo inficiano solo uno di questi. La disposizione costituzionale [sull’aumento dell’Iva, ndr] può restare in vigore per ora. Casomai toccherà al Consiglio federale modificare il dispositivo di applicazione, qualora dovesse rivelarsi necessario”. La soluzione ‘moitié/moitié’ non persuade Gianini, che sottolinea come l’incremento dell’Iva sia stato approvato “nella medesima tornata di votazione quale ulteriore misura di riequilibrio finanziario, parallela a quella sull’età di pensionamento”.
Il 6 agosto l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas) annuncia di aver sbagliato le proiezioni sulle uscite dell’Avs, a causa di metodi di calcolo errati. Le sue previsioni finanziarie erano troppo negative, con una spesa superiore di oltre quattro miliardi di franchi (lo scarto verrà poi ridotto a 2,5 miliardi) entro il 2033. La direttrice del Dipartimento federale dell’Interno, Elisabeth Baume-Schneider (Ps), ordina un’inchiesta amministrativa. La conclusione viene resa nota venerdì scorso, dopo che il direttore dell’Ufas Stéphane Rossini aveva annunciato le sue dimissioni: non c’è stato alcun errore di calcolo.
Sta di fatto che le prospettive sballate sono confluite sia nel messaggio governativo al Parlamento (2019) che nell’opuscolo di voto sulla riforma ‘Stabilizzazione dell’Avs’, o Avs 21 (25 settembre 2022). I Verdi, le Donne socialiste e un avvocato vodese presentano così ricorsi al Tribunale federale (Tf), chiedendo l’annullamento e la ripetizione della votazione sull’innalzamento a 65 anni dell’età di pensionamento delle donne. A loro avviso, il popolo non ha potuto esprimersi in cognizione di causa: le cifre errate hanno infatti generato un allarmismo rivelatosi decisivo per l’esito (sul filo di lana) dello scrutinio.
Avs 21 comprendeva due elementi distinti, ma collegati tra loro: l’aumento dell’età di pensionamento per le donne, appunto (approvato dal 50,5% dei votanti); e un aumento dell’Iva (55,1% di sì). Il Tf si pronuncerà giovedì in seduta pubblica a Losanna. Due giudici supplenti donne faranno parte della Prima corte di diritto pubblico (cinque giudici) che dovrà esprimersi sui ricorsi. Il regolamento del Tf stabilisce infatti che “i membri di entrambi i sessi partecipano al tribunale chiamato a pronunciarsi quando la natura della controversia sembra giustificarlo”.