La bambina di tre anni fu narcotizzata con l’ecstasy e poi soffocata. Già nel 2019 i genitori avevano tentato con del sonnifero nel biberon
Il Tribunale distrettuale di Bremgarten, in Argovia, ha riconosciuto i genitori di una bimba di tre anni gravemente disabile colpevoli, tra altri reati, di omicidio intenzionale della fanciulla e li ha condannati entrambi a otto anni di reclusione. La nonna, accusata di complicità, è stata assolta.
Per la corte la mamma, oggi 32enne, e il papà, 34 anni, hanno soppresso assieme la figlioletta. Il delitto risale al maggio del 2020 ed era stato commesso ad Hägglingen, piccolo comune a metà strada tra Aarau e Zurigo. La sentenza può essere impugnata davanti al Tribunale cantonale.
Il 6 maggio di quell'anno, i due partner, di nazionalità tedesca, hanno drogato la bambina con ecstasy e l'hanno poi soffocata. Poiché si era procurato la droga, l'uomo è stato anche condannato a una pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere di 110 franchi ciascuna con la condizionale per violazione della Legge sugli stupefacenti.
Entrambi sono anche stati giudicati colpevoli di tentato omicidio intenzionale. Nell'ottobre 2019, avevano infatti già provato a sopprimere la bambina con un'overdose di sonniferi nel biberon. La corte di prima istanza ha ordinato l'espulsione dei due dalla Svizzera per dieci anni – la difesa si è opposta a questo provvedimento, mentre la Procura chiedeva 15 anni di allontanamento dal territorio elvetico.
La fanciulla soffriva di un grave handicap cerebrale fin dalla nascita. Avrebbe avuto bisogno di cure 24 ore su 24 per il resto della sua vita.
Durante il processo i genitori hanno sostenuto che con la morte le hanno alleviato per amore i sempre più forti dolori, le convulsioni, le paralisi e altri disturbi. I loro avvocati difensori, facendo valere che i loro clienti avevano agito in condizioni di grande stress emotivo, hanno chiesto per entrambi una condanna a tre anni di reclusione, in parte sospesi, per omicidio passionale.
Contro i due, il ministero pubblico ha invece chiesto una pena detentiva di 18 anni per assassinio. La Procura ha sostenuto che per la bambina c'erano chance di miglioramento della salute. Ma per gli imputati la figlia costituiva un fastidio e hanno voluto sbarazzarsene. Nel farlo, hanno agito in modo palesemente egoista e senza scrupoli, ha detto la Procura durante i dibattimenti.
Non spetta al tribunale "fare un discorso etico-morale su cosa sia una vita degna di essere vissuta", ha detto oggi la presidente della corte pronunciando la sentenza. La giustizia deve invece applicare il diritto e classificare l'atto in termini legali. La legge si basa sul fatto che ogni vita umana ha lo stesso valore e merita la stessa protezione.
Il tribunale ha riconosciuto che i genitori hanno affrontato molte difficoltà con la figlia gravemente malata. È comprensibile che abbiano raggiunto i loro limiti e fossero allo stremo, che avessero provato disperazione, frustrazione e rabbia. Non è invece comprensibile che non abbiano accettato un maggiore aiuto e abbiano invece ucciso la bimba, ha sostenuto la giudice.
La corte non ha condiviso la qualifica del crimine né della Procura né della difesa. La condizione per cui sia dato l'omicidio passionale è una grande sofferenza emotiva, nel senso di uno stato di emergenza emotiva cronica e prolungata da cui non sembra esserci altra via d'uscita che l'uccisione. Nella fattispecie, ai sensi della legge, queste condizioni non erano riunite.
D'altra parte, non vi è stata neppure la particolare spietatezza richiesta per qualificare l'uccisione come assassinio. Gli imputati hanno dimostrato in modo credibile di volere una bella morte per la figlia e di confidare che ciò sarebbe stato possibile con l'ecstasy. Non ci sono prove che attestino una morte atroce.
La nonna è stata assolta dall'accusa di complicità nell'omicidio e le è stato riconosciuto un indennizzo per l'arresto subito nonché una riparazione morale. Il ministero pubblico l'aveva accusata di non aver impedito alla figlia e al suo compagno di uccidere la piccola. La presidente della corte ha condiviso questa percezione della Procura, ma ha osservato che questo comportamento era "al massimo di rilevanza morale, ma non di rilevanza penale".
Lei stessa, oggi 52enne, in tribunale ha affermato di non aver saputo cosa fare. Aveva fortemente sconsigliato di sopprimere la bimba e, per quanto possibile, sostenuto la giovane famiglia.