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‘La già bassa fiducia nella politica rischia altri contraccolpi’

Stime errate su Avs, firme falsificate da società a pagamento: le riflessioni del sociologo Cattacin sugli effetti nel rapporto tra cittadini e democrazia

’Il rimedio? Andare verso la gente e farla stare meglio, sviluppare il civismo’
(Keystone)
19 settembre 2024
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«Dai sondaggi che regolarmente vengono condotti a livello nazionale sul tema della fiducia, emerge sempre che quella degli svizzeri verso le istituzioni quali ad esempio governo, giustizia o polizia è molto alta e stabile, e non credo che i recenti casi di errori e falsificazioni cambieranno qualcosa. Per contro la fiducia nella competenza dei partiti e in generale nella politica risulta sempre parecchio bassa e a seguito di simili vicende rischia di subire un ulteriore contraccolpo».

I casi cui fa riferimento Sandro Cattacin – professore di Sociologia presso l’Università di Ginevra – sono gli errori di calcolo sulle previsioni finanziarie dell’Avs dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas) rivelatesi troppo pessimistiche – inizialmente lo sbaglio è stato stimato in 4 miliardi di franchi per il 2033, mentre lunedì l’errore è risultato inferiore, ovvero di 2,5 miliardi –, nonché lo scandalo delle firme falsificate da società commerciali che si occupano di raccogliere sottoscrizioni a pagamento per iniziative popolari e referendum, firme in certi casi raccolte anche senza mandato al fine di esercitare pressioni sui comitati promotori per il loro acquisto.

Un condensarsi di ombre sul sistema democratico del Paese che nel volgere di pochi mesi non ha risparmiato nemmeno la politica comunale: dai brogli col Tipp-Ex alle scorse elezioni comunali di aprile ad Arbedo Castione, annullate e da rifare domenica 22 settembre (si veda l’approfondimento di giovedì 12 a pagina 6); alla scheda di voto finita nel tritacarta ad Ascona sempre in occasione delle Comunali di aprile; fino alle 1’600 sottoscrizioni raccolte per l’iniziativa sul salario minimo nella città di Berna sparite dopo essere state inviate per posta e mai ricevute dall’ufficio responsabile del controllo delle firme. Alla luce di queste vicende con Cattacin proviamo a mettere a fuoco la fotografia dei rapporti attuali tra i cittadini e il sistema democratico svizzero.

Per quale ragione, di fronte a simili ‘scandali’, permane la discrepanza da lei rilevata tra una fiducia alta e piuttosto inscalfibile nelle istituzioni e una sfiducia che rischia di crescere ancora di più nella politica, considerando che i due ambiti sono strettamente legati?

Ovviamente il legame tra istituzioni e politica è molto forte. A capo del governo ci sono dei politici, a scegliere i giudici sono i partiti. Eppure se l’istituzione fa un errore, lo rende pubblico e si scusa, la popolazione è portata a capire che può succedere. Nel caso dei calcoli sbagliati relativi alle previsioni finanziarie per l’Avs, i responsabili hanno provato a spiegare come sono andate le cose, hanno fatto mea culpa, nel frattempo è stata avviata un’inchiesta amministrativa e magari qualche funzionario dovrà lasciare il proprio posto. Se ne è molto discusso, ma in generale si continua a ritenere l’Ufficio serio e capace di assolvere ai propri compiti. Il dito viene piuttosto puntato contro i rappresentanti politici, che fanno da capro espiatorio. Questo avviene perché ci troviamo in un periodo in cui il livello di confronto, o meglio di scontro politico, è molto alto con un’esposizione enorme. Se si prosegue in questa direzione, con una strategia che non lascia spazio al compromesso, è possibile che un giorno o l’altro l’effetto negativo sarà esteso anche sulle istituzioni. Vediamo quanto è capitato negli Stati Uniti dove l’accordo che c’era sempre stato tra i repubblicani e i democratici per salvaguardare le istituzioni è saltato e adesso una cospicua parte dell’elettorato non si fida più di esse. Questo significa che la tenuta del sistema è fragile e che si deve stare molto attenti alla salvaguardia delle istituzioni la quale passa anche da un comportamento della politica che dovrebbe essere il più morale possibile.

A quando risale questa perdita di credibilità dei partiti e quali sono le sue origini?

Si tratta di un disamore vecchio di qualche decennio. Direi che è iniziato negli anni Ottanta, in concomitanza con la trasformazione del fare politica in Svizzera causata dall’arrivo dei dibattiti in televisione caratterizzati da una modalità di confronto quasi esasperata, che tracima la discussione, desunta dagli Stati Uniti e da altri Paesi europei. Con questi show si è assistito alla perdita dell’aplomb dei politici. Si tratta di una modalità che ha avuto successo a livello di pubblico ma che al contempo si è rivelata un modello molto favorevole alla crescita dei populismi che sarebbero cresciuti anche per altri motivi, ma che sono stati molto alimentati da questa spettacolarizzazione del confronto in cui predomina una continua delegittimazione dell’altro anziché un dibattito sui temi. E questo ha rinforzato lo scetticismo nei confronti della politica e la sua perdita di credibilità. Una buona lezione di giornalismo viene dal recente dibattito tv tra i candidati alla presidenza statunitense Kamala Harris e Donald Trump. A differenza dei precedenti tra Joe Biden e Donald Trump è stato condotto da giornalisti che hanno eseguito “fact checking” – la verifica dei fatti – durante l’intervista e hanno corretto Trump per ben tre volte. Per temi così importanti è una regola che dovrebbe essere sempre applicata avvalendosi del sostegno di tecnici che non rispondono alle ideologie.

In che modo si riflette tutto ciò sull’affluenza alle urne per le elezioni? Casi di irregolarità come quelli occorsi negli ultimi tempi potrebbero portare a un’accresciuta diserzione al voto per modifiche costituzionali e legislative?

In assenza di un obbligo di andare a votare, come invece c’è a Sciaffusa, la partecipazione è sempre abbastanza bassa, in particolare quando si tratta di eleggere i membri di esecutivi e legislativi. Questo avviene per vari motivi, uno dei quali è imputabile alla doppia faccia della nostra democrazia semi-diretta in cui si possono sempre cambiare le decisioni prese dai politici attraverso un’iniziativa o un referendum. Un modo per dare maggior peso all’operato dei politici potrebbe essere quello di far stabilire al Tribunale federale i temi su cui si può andare alle urne e quelli invece su cui non è possibile farlo. Quanto all’affluenza al voto per esprimersi su modifiche costituzionali e legislative, in gioco ci sono tanti fattori. Quello che conta di più oggigiorno sono i temi. La gente rimane molto sensibile a questioni politiche concrete più che a ragionamenti astratti. Se c’è una iniziativa popolare molto profilata, ad esempio contro le persone straniere, di sicuro la mobilitazione non verrà meno.

Le previsioni errate dell’Ufas hanno fatto da base per la votazione in cui si è deciso di alzare l’età pensionabile delle donne. C’è chi parla di un inganno orchestrato: è una reazione comprensibile? Sussiste anche il rischio che vengano alimentati fenomeni di complottismo?

Al di là di come la si possa pensare sul tema, i tempi per il cambiamento dell’età pensionabile delle donne erano maturi, nel senso che la direzione era tracciata, dunque non penso che quelle cifre pessimistiche siano state il motivo che ha determinato l’esito della votazione. Gli argomenti sul tavolo erano vari. Detto questo, non sappiamo di preciso se le cifre corrette avrebbero spostato dei voti dal campo dei sì a quello dei no. Certo è che l’errore della portata di miliardi di franchi da parte dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali è sorprendente. Ma come accennato, il fatto che ci sia un’inchiesta amministrativa in corso è il segno che la Svizzera è una democrazia matura. Sicuramente se ne riparlerà quando sarà fatta piena chiarezza. Tuttavia il problema delle democrazie oggigiorno è che anche se emerge la verità è sufficiente che sui canali social non se ne parli e rimane alimentata l’idea del complotto. Su queste reti spesso ognuno sta nella propria bolla e c’è una grande difficoltà ad accedere a una discussione aperta e argomentata.

Per il caso delle firme false, al centro delle critiche è finita anche la Cancelleria federale che era a conoscenza da tempo della vicenda ma non ne ha mai dato comunicazione. L’informazione infatti è emersa solo grazie a un’inchiesta giornalistica. Quanto è importante una comunicazione istituzionale tempestiva in situazioni del genere?

È molto importante informare, tuttavia in situazioni in cui ci sono dei procedimenti aperti bisogna sempre fare una verifica di quello che è opportuno rivelare e in quale momento. Se le autorità inquirenti si trovano ad esempio a seguire una pista particolare magari non è opportuno rendere subito tutto pubblico per non compromettere le indagini. Ma è chi dirige le inchieste che sa com’è meglio agire. D’altro canto aspettare troppo a dare la comunicazione come nel caso specifico può far nascere il sospetto che ci sia la volontà di tener nascosto un problema. Trovare l’irregolarità, fare un’inchiesta e non renderla pubblica in tempi ragionevoli è un errore. Forse però nella fattispecie la Cancelleria stava riflettendo a come regolamentare meglio la situazione. Il fatto che si sia individuato questo problema tuttavia è positivo perché ora siamo coscienti di quello che può capitare e si sta ragionando anche pubblicamente a come scongiurare situazioni illecite.

In tal senso la proposta su cui si sta molto discutendo è quella di vietare la raccolta di firme a pagamento. Lei la ritiene una soluzione auspicabile per evitare deragliamenti del sistema come quello venuto a galla?

Si tratta di una discussione già fatta a più riprese e ogni volta c’è sempre stata una specie di coalizione tra una parte della destra e una della sinistra. Da un canto si dice “non si può fare perché non abbiamo tempo di andare in piazza a raccogliere firme”, dall’altro “non si può fare perché si infragiliscono i più deboli”. Quello che è successo mostra che c’è bisogno di una riflessione. Ritengo che la via da seguire sia quella di una regolamentazione in quanto una proibizione potrebbe far continuare la pratica nell’illegalità. È quindi preferibile che venga fatta alla luce del sole. Una possibilità per mettere al riparo da irregolarità sarebbe che le società che si occupano della raccolta a pagamento siano registrate, abbiano degli standard da seguire definiti da un’organizzazione indipendente, siano certificate e sottoposte a controlli. In questo modo sarebbe tutto più semplice.

In generale ritiene esista una strada percorribile per ristabilire un rapporto di fiducia più saldo tra popolazione e politica?

Certo. Da un lato questo può essere fatto attraverso una regolamentazione dei social media in merito alle informazioni che influenzano in modo negativo la comprensione di qualcosa che potrebbe essere importante per la società e il futuro. Si può ad esempio intervenire con delle multe nel caso i proprietari permettano coscientemente che vengano diffuse delle notizie false o delle bugie. È insomma necessario andare verso un fact checking sistematico e una responsabilizzazione dei social media, quello che d’altronde l’Europa sta già iniziando a fare: come noto il proprietario di Telegram è stato arrestato. Dall’altro lato è indispensabile far sì che il populismo diminuisca. L’arma da usare è quella di andare verso la gente e farla stare meglio, grazie ad esempio a ospedali accoglienti, tasse usate in modo trasparente e via discorrendo. Si tratta di sviluppare i servizi alla cittadinanza in modo che le persone sentano di vivere in un posto e in un mondo che merita di essere salvaguardato. Questo si chiama civismo.