Ecco le raccomandazioni di un gruppo di esperti istituito dal Consiglio federale; tra esse pure più soldi all'esercito. Critiche da sinistra a destra
Più soldi per l'esercito, maggiore cooperazione in materia di difesa con la Nato e revisione della politica di neutralità: sono queste le raccomandazioni principali formulate in un rapporto presentato da un gruppo di esperti istituito dal Consiglio federale. La commissione di studio, creata un anno fa dal Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (Ddps), ha pubblicato il frutto delle proprie riflessioni, destinate ad arricchire la Strategia di politica di sicurezza 2025, per la quale la Segreteria di Stato per la politica di sicurezza (Sepos) ha appena iniziato a lavorare.
"La situazione della sicurezza in Europa si è notevolmente deteriorata", ha dichiarato in conferenza stampa la presidente della Confederazione e responsabile del Ddps Viola Amherd. La guerra in Ucraina è uno dei fattori principali che genera insicurezza.
Per Katja Gentinetta, che ha redatto il rapporto, l'aggressione russa apre la porta a un confronto con la Nato. Le tensioni nei Balcani rimangono alte anche a causa della presenza di Russia e Cina nella regione. Inoltre, ha aggiunto la filosofa politica curatrice di un volume sulla politica estera svizzera per il XXI secolo, la guerra in Medio Oriente potrebbe prolungarsi, mentre l'influenza dell'Occidente in Africa sta diminuendo a vantaggio di Mosca e Pechino. Tali sviluppi stanno portando, a suo dire, a un indebolimento del sistema di sicurezza collettiva.
La tensioni geopolitiche stanno insomma destabilizzando l'Europa, che potrebbe diventare la principale vittima della frammentazione globale, stando alla commissione. Anche la Svizzera è interessata da questi sviluppi e ha tutto l'interesse a contribuire alla stabilità e alla sicurezza del Vecchio continente. Quest'ultimo è tra l'altro già alle prese con una guerra ibrida contraddistinta da disinformazione e attacchi informatici. Secondo la commissione, tale situazione rappresenta la principale minaccia per la Svizzera.
Secondo la commissione, l'attuale politica di neutralità andrebbe rivista, tenendo maggiormente conto della sua funzione di sicurezza, non più garantita nel momento attuale. Il semplice fatto di essere neutrali non protegge più la Svizzera da un attacco, ha affermato Gentinetta.
La maggioranza raccomanda quindi di allineare la politica di neutralità alla Carta dell'Onu e di tenere maggiormente conto della distinzione tra aggressore e vittima. Ciò implica, anche per ragioni di solidarietà con Paesi sotto attacco, una revisione sostanziale della legge sul materiale bellico – leggasi agevolare la riesportazione di armi prodotte in Svizzera – per poter tenere il passo di questo ulteriore sviluppo della politica di neutralità.
Alla luce della situazione in Europa e della posizione della Svizzera al centro del continente, per la commissione, la cooperazione con la Nato e l'Ue andrebbe ulteriormente approfondita con l'obiettivo di una capacità di difesa congiunta e strutturata in una vera e propria cooperazione in materia di difesa.
La Svizzera è il solo Paese che rinuncia a un obbligo di assistenza reciproco, stando alla commissione, secondo cui la Confederazione non deve diventare l'anello debole del dispositivo di sicurezza europeo. La posizione geografica della Svizzera rende inoltre ineludibile una cooperazione allargata a livello di difesa.
La neutralità, a parere della commissione, non rappresenta un ostacolo a una cooperazione approfondita con altri Paesi. Tuttavia, solo una minoranza si è detta favorevole a un'adesione alla Nato.
Per quanto attiene ai contenuti di questa cooperazione, la Svizzera dovrebbe definire le aspettative per quanto riguarda la capacità di difesa come pure le controprestazioni che il Paese potrebbe fornire nei confronti di un futuro partner.
A tale riguardo, a parere della commissione, la situazione attuale dell'esercito non è delle migliori, dal momento che l'armata evidenzia al momento carenze a livello di effettivi, equipaggiamento, formazione e forniture. La prima cosa da fare è quindi accrescere la dotazione finanziaria a favore dell'esercito fino a raggiungere l'1% del prodotto interno lordo entro il 2030.
A parere della commissione, l'industria nazionale degli armamenti dev'essere rafforzata e maggiormente orientata alla situazione di minaccia. A tale scopo occorre promuovere l'innovazione e garantire l'accesso ai progetti di cooperazione dell'Ue e della Nato.
La maggioranza raccomanda inoltre di raggruppare il servizio civile e la protezione civile, opzione attualmente in fase di elaborazione nel quadro dei lavori di approfondimento del sistema di servizio obbligatorio. Si raccomanda inoltre che la protezione della popolazione venga organizzata tenendo conto dell'inasprimento della situazione in materia di sicurezza dei suoi compiti in caso di guerra.
"È una farsa", un "esercizio alibi" e le sue conclusioni "sono errate". Sono le reazioni di Verdi, Ps e Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE), secondo i quali il documento sulla politica di sicurezza non fa che confortare la linea della "ministra" della difesa Viola Amherd. All'Udc, invece, non piacciono gli inviti a legami più stretti con la Nato e con l'Ue.
Secondo gli ecologisti la commissione di studio è stata scelta arbitrariamente, ha determinato unilateralmente i temi e rifiuta il dialogo e il Ddps non era disposto a dialogare con altre voci. A dichiararlo la consigliera nazionale Marionna Schlatter (ZH), che ha rappresentato i Verdi nella commissione. Gli ecologisti credevano di essere stati coinvolti in modo costruttivo, proponendo i propri temi e punti di vista. Ma questi non sono stati considerati. "La commissione ha mancato l'obiettivo di dare alla politica di sicurezza svizzera un nuovo impulso che fosse ampiamente condiviso. Una politica di sicurezza è visionaria solo se comprende anche la promozione della pace civile, la prevenzione dei conflitti e la protezione del clima. Altrimenti, è contaminata da paraocchi ideologici", ha aggiunto la verde zurighese.
Anche per il Partito socialista le conclusioni del rapporto sono errate e contraddittorie. "Sebbene la probabilità di un attacco convenzionale alla Svizzera sia bassa, è proprio per questo scenario improbabile che il bilancio dell'esercito dovrebbe essere aumentato all'1% del Pil entro il 2030". Tali raccomandazioni risalgono a un'altra epoca e non corrispondono alle sfide future della politica di sicurezza secondo il Partito socialista, che ribadisce la richiesta di "una politica di sicurezza all'altezza delle reali sfide del nostro tempo".
Dal canto suo il GSsE, che non è stato coinvolto, si dice indignato per il fatto che Amherd si rifiuti di impegnarsi in un vero dialogo per definire la sua rotta in materia di politica di sicurezza. In questo modo, secondo l'associazione, la responsabile del Ddps serve soprattutto i desideri di riarmo dell'esercito e gli interessi della lobby degli armamenti, e cerca di legittimare il suo orientamento verso la Nato.
Questa critica è stata mossa anche dall'Unione democratica di centro. Secondo il maggiore partito elvetico, tale avvicinamento alla Nato e all'Ue segnerebbe la fine della neutralità della Svizzera. La formazione guidata dal consigliere nazionale Marcel Dettling (Sz) sottolinea inoltre la tattica del salame utilizzata dal governo per preparare l'adesione alla European Sky Shield Initiative (letteralmente iniziativa europea per uno scudo in cielo, è un progetto per costruire un sistema di difesa aerea europeo integrato a terra che includa capacità antimissili balistici), partecipare alle esercitazioni militari dell'Ue e a collaborazioni con l'esercito del Lussemburgo.
In conferenza stampa la presidente della Confederazione si è difesa sottolineando che nel rapporto erano rappresentate tutte le opinioni politiche, la commissione è stata istituita su una base allargata e autonoma, i partiti erano rappresentati, così come gli esperti di vari settori.
La commissione è stata presieduta da Valentin Vogt, ex presidente dell'Unione svizzera degli imprenditori, mentre il documento finale è stato redatto da Gentinetta. Della commissione hanno fatto parte anche professori di diritto internazionale e di relazioni internazionali, nonché esperti indipendenti di politica di sicurezza. Erano inoltre rappresentati i sei gruppi parlamentari, le diverse generazioni e regioni linguistiche. La commissione ha votato su ogni singola raccomandazione. Nella maggior parte dei casi non c'è stata unanimità e la diversità di queste opinioni si riflette nel rapporto.