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Questo sarebbe il prezzo della 13esima Avs

Un po’ più di 20 franchi al mese: tanto costerebbe un aumento dello 0,5% dell’Iva a un’economia domestica ‘media’, secondo i giornali di CH Media

La ministra della Socialità Elisabeth Baume-Schneider (Ps)
(Keystone)
19 agosto 2024
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Non alzando le trattenute salariali, né aumentando sia queste che l’imposta sul valore aggiunto (Iva): scartate le due varianti inviate in consultazione, il Consiglio federale ha deciso la scorsa settimana che i 4,2-5 miliardi di franchi necessari a partire dal 2026 per finanziare la 13esima Avs dovranno essere ricavati esclusivamente da un incremento dell’Iva. Al finanziamento della rendita di vecchiaia supplementare, accolta in votazione popolare lo scorso marzo, parteciperebbero dunque non solo (o non soprattutto) i lavoratori, bensì tutti i consumatori. Pensionati compresi, ossia proprio quella categoria di persone il cui potere d’acquisto ci si prefiggeva di rafforzare. Ma in quale misura l’incremento dell’Iva (si parla di una percentuale compresa tra lo 0,5 e lo 0,7%, quella esatta verrà stabilita dal Governo in autunno) ridurrà l’effetto della 13esima Avs?

Lo farà in misura tutt’altro che eccessiva, secondo i giornali di CH Media. Stando a Frank Marty, esperto in fiscalità di Economiesuisse, un incremento dello 0,5% costerebbe ogni anno alle economie domestiche un importo stimato in 125 franchi (reddito inferiore ai 5mila franchi mensili), 250 franchi (reddito medio) o 450 franchi (reddito superiore ai 13’500 franchi). Importi tutto sommato sopportabili, se si considera che la rendita Avs mensile massima è di 2’370 franchi e quella media di 1’870 franchi.

La via tracciata dal Consiglio federale è comunque irta di ostacoli. Sinistra e sindacati sono contrari, giacché l’Iva incide maggiormente in termini relativi sui redditi bassi e medi. A loro avviso occorre anzitutto aumentare in maniera moderata i contributi salariali. Dal canto loro, Udc, Plr e Verdi liberali vorrebbero liquidare la questione del finanziamento della 13esima Avs non in un progetto ad hoc, ma nel più ampio contesto della prossima riforma strutturale del primo pilastro. Il Consiglio federale la deve presentare entro la fine del 2026.

Contributo federale in bilico

Gli errori di calcolo commessi dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas) hanno sì smorzato il diffuso allarmismo sulle prospettive finanziarie del primo pilastro. Ma i termini della questione non sono fondamentalmente mutati: se non si fa niente, il risultato di ripartizione dell’Avs sarà comunque negativo a partire dal 2026.

In Parlamento dunque la soluzione per molti versi sorprendente individuata dal Governo non avrà vita facile. Anche perché – alla luce delle cifre provvisorie meno preoccupanti rese note dall’Ufas (secondo il ‘Tages-Anzeiger’, i Verdi intanto si sono rivolti al Tribunale federale dopo che il governo ginevrino non è entrato in materia su uno dei loro ricorsi per annullare la votazione del 2022 sull’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne) – Ps e Verdi, così come il Centro, non vogliono ormai più sentir parlare della prevista riduzione (benché inferiore rispetto ai piani iniziali: dal 20,2 al 19,5%, anziché al 18,7%) del contributo della Confederazione all’Avs. Senza dimenticare che qualsiasi ritocco dell’Iva sottostà a referendum obbligatorio, e quindi richiede alla fine una votazione popolare con la (non scontata) doppia maggioranza di popolo e Cantoni.

Secondo pilastro

In vent’anni rendite
erose di un quinto

La popolazione attiva in Svizzera riceve sempre meno denaro al momento del pensionamento. Secondo il ‘barometro delle pensioni’ pubblicato lunedì dal Vermögenszentrum (Vz), tra il 2002 e il 2024 le rendite che un 55enne riceve quando va in pensione (10 anni dopo) si sono ridotte di un quinto. La diminuzione media è di 15mila franchi all’anno. Se da un lato dal 2002 le rendite del secondo pilastro si sono ridotte quasi del 40%, dall’altro quelle dell’Avs – adeguate automaticamente all’andamento dei salari e dei prezzi, diversamente dalle prime – sono aumentate di circa il 19%.

I lavoratori con stipendi medi o alti spesso ricevono ormai solo la metà o meno del loro ultimo stipendio sotto forma di rendita pensionistica. Tuttavia, l’80% di loro ritiene di poter finanziare facilmente la propria pensione con l’Avs e la cassa pensione.

Il potere d’acquisto però è in calo: è diminuito infatti di quasi il 6% negli ultimi cinque anni, sottolinea Vz. Nel 2023, la pensione di un uomo di 65 anni che guadagnava 100mila franchi all’anno corrispondeva al 52% del suo ultimo stipendio, rispetto al 62% di vent’anni fa. Il divario aumenta con l’aumentare del reddito, mostra lo studio. Per un salario annuo di 50mila franchi, la percentuale è rimasta invariata a circa il 64%.

La situazione è destinata a peggiorare, per alcuni. Vz ricorda che se il 22 settembre verrà adottata la legge sulla previdenza professionale (imperniata su un abbassamento dal 6,8 al 6% dell’aliquota minima di conversione), gli istituti che operano esclusivamente nel regime obbligatorio (comunque una netta minoranza degli oltre 1’300 attivi in Svizzera) potrebbero ridurre ulteriormente le rendite.