I pareri dissonanti in consultazione e nelle commissioni parlamentari non fanno cambiare idea all’Esecutivo. Rösti: ‘Non è emersa alcuna alternativa’
«Non ci sono sorprese pazzesche», ha subito ironizzato Albert Rösti. Anzi: non ci sono sorprese tout court. Il Consiglio federale ha confermato l’impostazione annunciata lo scorso novembre: il canone radiotelevisivo scenderà dagli attuali 335 a 300 franchi dal 2029; a partire dalla stessa data, l’80% delle aziende verranno esentate; prima si andrà a votare sull’iniziativa popolare ‘200 franchi bastano!’, solo in seguito – una volta noto il quadro finanziario entro il quale la Ssr si dovrà muovere – si discuterà dell’offerta mettendo mano alla concessione.
In una conferenza stampa a Berna, il ministro dei media ha illustrato oggi il ‘controprogetto’ (tra virgolette perché trattasi di una modifica d’ordinanza) con il quale il Consiglio federale intende tagliare l’erba sotto ai piedi dei fautori dell’iniziativa. Con questa soluzione «equilibrata» l’Esecutivo «è convinto di poter combattere con successo» una proposta di modifica costituzionale (promossa da Udc, Giovani Plr e Unione svizzera delle arti e mestieri) che di fatto dimezzerebbe (da 1,3 miliardi a 630 milioni) la quota del canone destinata alla Ssr. L’iniziativa «inciderebbe in maniera eccessiva» sulle strutture dell’ente radiotelevisivo. Pregiudicherebbe la sua offerta nelle quattro regioni linguistiche del Paese. Di più: danneggerebbe l’intero settore mediatico nazionale, ha ammonito il ministro democentrista (che da parlamentare sosteneva il testo).
Il Consiglio federale vuole però venire incontro alle economie domestiche e alle imprese. Alleggerendo in due tappe il canone radiotelevisivo a carico delle prime. E correggendo le condizioni di assoggettamento per le seconde: solo quelle con un fatturato annuo di 1,2 milioni di franchi lo pagheranno (a beneficiarne sarà l’80% circa delle aziende, soprattutto piccole e medie imprese).
In questo modo, nel 2029 la quota di partecipazione della Ssr al canone passerà a circa 1,2 miliardi di franchi, ossia circa 120 milioni in meno rispetto a oggi. Un importo che tiene conto del fatto che – già a partire dal 2025 – la compensazione del rincaro (per complessivi 69 milioni quest’anno) non potrà più essere garantita, o non più completamente. Non incluso nei 120 milioni, invece, è il calo dei ricavi (35 milioni di franchi) derivante dall’eventuale approvazione di due iniziative parlamentari che chiedono tra l’altro di versare una fetta più consistente dei proventi del canone alle radio e tv private. La Ssr, per finire, dovrà accettare ulteriori perdite dovute alla contrazione delle entrate commerciali (pubblicità e altro).
Per l’ente radiotelevisivo «non sarà facile», ha ammesso Rösti. Proprio per questo il Governo ha scaglionato e dilazionato la prevista riduzione. L’azienda avrà così tempo fino al 2029 (quando entrerà in vigore la nuova concessione) per “pianificare e attuare misure di risparmio”, scrive l’Esecutivo.
Il capo del Datec ha tenuto a sottolineare che il Consiglio federale, nella scelta di confermare la via tracciata lo scorso autunno, «si è basato sui risultati della consultazione» svoltasi quest’inverno. I pareri emersi in realtà divergevano alquanto: in particolare, un buon numero di cantoni non hanno condiviso la proposta governativa. Anche le commissioni parlamentari competenti hanno chiesto al Governo di invertire i termini della questione: prima si discuta di contenuti (la concessione), poi dei soldi (il canone). Rösti ha spiegato perché il Consiglio federale ha scelto di tirare dritto: né in sede di consultazione, né dal Parlamento è uscita «una soluzione alternativa suscettibile di ottenere una maggioranza».
Un’alternativa che potrebbe vedere la luce già in autunno, quando la prima commissione parlamentare esaminerà il messaggio governativo. A quel punto è tutto fuorché improbabile che spunti un controprogetto indiretto (a livello di legge, quindi soggetto a referendum facoltativo). I giochi allora potrebbero complicarsi. Cosa succederà, ad esempio, se una maggioranza chiederà di esentare tutte le imprese dal pagamento del canone, come richiesto dall’iniziativa? Rösti non si è spinto fino a dire che in quel caso il Governo correggerebbe il tiro compensando sul fronte delle famiglie, ‘riportando’ cioè il balzello da qualche parte fra i 300 e i 335 franchi. Ha però affermato che il Consiglio federale rivaluterebbe la situazione a livello di ordinanza.
Per il resto, l’Esecutivo ha prorogato l’attuale concessione alla Ssr fino al 2028, mantenendola sostanzialmente immutata. Ha inoltre stipulato un nuovo accordo su un programma destinato all’estero per il periodo 2025-2026. I costi sono sostenuti in egual misura dalla Ssr e dalla Confederazione, che verserà un contributo limitato a 19 milioni di franchi per ogni anno. L’offerta giornalistica rimane invariata. Ma il quadro finanziario viene reso “più rigido”, si legge nel comunicato. Con il nuovo accordo, le “sinergie” (ahi...) tra le piattaforme internet Swissinfo e tvsvizzera.it saranno “sfruttate in misura maggiore”.
La Ssr da un lato si rallegra per il ‘no’ governativo all’iniziativa. Dall’altro, rinvia alla sua presa di posizione in occasione della procedura di consultazione: la riduzione del canone a 300 franchi comporterà una riduzione delle entrate di circa 240 milioni di franchi e una riduzione di circa 900 posti di lavoro in tutte le regioni. La misura avrà un impatto anche sulla copertura sportiva dei grandi eventi. Anche il numero di serie e film svizzeri sostenuti e la trasmissione di eventi culturali dovrebbero essere ridotti.
«Stiamo finalizzando misure di contenimento e riduzione della spesa per i prossimi due anni» e al contempo «lavorando a una ridefinizione del servizio pubblico mediatico», ha dichiarato alla Rsi il suo direttore Mario Timbal. Con un taglio del canone del 15-20%, in gioco vi sarebbe un centinaio di posti di lavoro in meno in Ticino. «Senza tutti i dati non è ancora possibile fare una stima. È però chiaro che sono quelle le unità di misura», dice ancora Timbal evocando una inevitabile «riorganizzazione».
Per il Sindacato svizzero dei massmedia (Ssm), la decisione del Governo è “scioccante”, un “attacco massiccio” al service public radiotelevisivo. Ignorando le raccomandazioni delle commissioni e senza attendere i dibattiti parlamentari e il voto sull’iniziativa, il Consiglio federale priva le emittenti pubbliche di ingenti risorse finanziarie, senza alcuna necessità o giustificazione credibile. Per il comitato dell’Associazione ticinese dei giornalisti (Atg-impressum), in Svizzera “occorrerebbe rafforzare e non indebolire il servizio pubblico radiotelevisivo”. Perché “una Ssr forte, accompagnata da misure in favore anche dei media privati, rappresenta di certo lo strumento migliore per evitare il dilagare della disinformazione”.
Secondo l’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam), la decisione governativa “non modifica in alcun modo l’inaccettabile doppia imposizione delle imprese ed è puramente cosmetica”. Il canone per le aziende continua infatti a dipendere dal fatturato. La sua riduzione generale per le famiglie è invece gradita, soprattutto in un periodo di aumento dei prezzi.