Affossato il fondo ad hoc per forze armate e Ucraina. Sì a un massiccio aumento delle spese per la difesa. A scapito dell’aiuto allo sviluppo
La stampa d’Oltralpe – il ‘Blick’ in particolare – aveva intonato da tempo il requiem per quello che era stato definito in modo spregiativo ‘Kuhhandel’ (‘mercato delle vacche’). Ma chi propugnava il fragile accordo le ha tentate tutte, fino all’ultimo minuto, per convincere una maggioranza dei colleghi ‘senatori’ ad approvarlo. Una settimana fa, in una lunga intervista sulla ‘Nzz’, una dei suoi artefici – la consigliera agli Stati Marianne Binder (Centro/Ag) – si era persino spinta ad affermare che così “serviamo all’esercito i miliardi mancanti su un vassoio d’argento”. Ma non c’è stato nulla da fare: non ci sarà nessun fondo ad hoc da 15 miliardi di franchi per l’esercito e la ricostruzione dell’Ucraina. Il Consiglio degli Stati ha respinto oggi pomeriggio – 28 voti contro 15 e due astensioni – una mozione in tal senso della sua Commissione della politica di sicurezza (Cps-S).
Le forze armate comunque saranno ben servite: contro il parere del Governo, la Camera dei cantoni ha infatti approvato (27 a 17 a un’astensione: contrari la sinistra e alcuni ‘senatori’ del Centro, nonché la verde-liberale Tiana Angelina Moser) un aumento ‘ordinario’ del tetto di spesa pari a 4 miliardi di franchi, a 29,8 miliardi, per il periodo 2025-2028. Se il Nazionale si allineerà, il budget dell’esercito raggiungerà così grossomodo l’1% del Prodotto interno lordo già nel 2030 e non soltanto nel 2035, come aveva stabilito il Parlamento in dicembre seguendo la raccomandazione (dettata da ragioni di risparmio) del Consiglio federale. A farne le spese sarà in particolare la cooperazione internazionale: è qui che i 4 miliardi dovranno essere compensati per metà; l’altra metà dovrà essere ricavata da risparmi sulle spese del personale in seno al Dipartimento federale della difesa.
A Palazzo federale gli occhi erano tutti puntati sul Consiglio degli Stati. Sul tavolo dei ‘senatori’, il Fondo speciale ‘per la sicurezza della Svizzera e la pace in Europa’: 15,1 miliardi di franchi, per finanziare – al di fuori del budget ordinario, ossia senza che si applichi il freno all’indebitamento – i bisogni supplementari dell’esercito a partire dal 2025 (10,1 miliardi) e quelli legati alla ricostruzione dell’Ucraina (5 miliardi).
L’idea era stata avanzata da una manciata di ‘senatrici’ e ‘senatori’ del Centro e della sinistra. In commissione era passata per il rotto della cuffia (13 a 12). Ma poi non è mai decollata. La speranza di far approvare una mozione analoga dalle commissioni competenti del Nazionale si è subito rivelata vana. E la Commissione delle finanze della Camera dei Cantoni si è messa di traverso (11 voti contro 2).
Non è un mistero che la ministra della Difesa Viola Amherd (Centro) fosse a favore. Ma il Consiglio federale si è espresso negativamente. E così la vallesana ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, collegialità oblige.
La mozione dunque è stata liquidata. Per il ‘no’ si sono schierati compatti i ‘senatori’ di Udc e Plr. Opposizione più o meno forte c’è stata anche all’interno del gruppo del Centro (9 contrari su 15) e della sinistra (due astenuti e un contrario tra i socialisti), dai quali in commissione era giunto l’impulso.
Creare un fondo ad hoc «è la via sbagliata», ha detto Josef Dittli (Plr) a nome della minoranza commissionale. Lo strumento è «contrario alla Costituzione e alla legge». Unisce due temi che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. E solo “eventi eccezionali che sfuggono al controllo della Confederazione” giustificherebbero un aggiramento del freno all’indebitamento: tale è stata la pandemia di coronavirus, ma lo stesso non si può dire dell’aumento delle uscite per l’esercito, né del contributo della Confederazione per la ricostruzione dell’Ucraina. Il fondo ad hoc, oltretutto, cagionerebbe debiti supplementari che ricadranno sulle spalle della prossima generazione.
Per far fronte alle esigenze dell’esercito basta agire per via ordinaria, hanno sottolineato diversi oratori. Jakob Stark (Udc/Tg) non vuole creare «un precedente pericoloso che metterebbe in discussione il freno all’indebitamento». Benedikt Würth (Centro/Sg) ha esortato i colleghi a non mettere in scacco questo strumento, altrimenti faremmo un passo indietro di decenni nella politica finanziaria della Confederazione. Scetticismo, per altre ragioni, anche tra i ‘senatori’ della sinistra. Baptiste Hurni (Ps/Ne) ha ricordato che un sì alla mozione significa ulteriori 10 miliardi di franchi in più per l’esercito: sarebbe «ingiustificabile». La mozione per giunta non dice nulla su come il fondo debba essere ammortizzato: non è chiaro se ciò avverrebbe o meno a scapito dell’esercito e della cooperazione internazionale.
Agire è urgente, ha insistito per contro Marianne Binder. «I compromessi sono importanti», ha dichiarato Franziska Roth (Ps/So). Tanto più che la Confederazione avrebbe un margine di manovra sufficiente per far fronte a un aumento del debito. «Situazioni straordinarie richiedono risposte straordinarie», le hanno fatto eco Brigitte Häberli-Koller (Centro/Tg) e Charles Juillard (Centro/Ju). Il freno all’indebitamento non è stato pensato per renderci incapaci di agire, bensì per accrescere la resilienza (finanziaria, ndr) del Paese, ha osservato Andrea Gmür-Schönenberger (Centro/Lu). Per la ‘senatrice’ lucernese, si tratta di una «questione di volontà politica». Anche Carlo Sommaruga (Ps/Ge) ha caldeggiato l’approvazione della mozione: a suo avviso è nell’interesse delle popolazioni del Sud del mondo, nella misura in cui liberando 5 miliardi per l’Ucraina si evita che la guerra nell’Est dell’Europa assorba – com’è previsto – una parte dei fondi destinati alla cooperazione internazionale.
Il Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse) si è detto “sollevato” per la bocciatura di un accordo “innominabile” e “ipocrita”. Il “mercanteggiamento” avrebbe permesso di concedere gli aiuti necessari all’Ucraina unicamente se l’esercito ne avesse ricevuti allo stesso tempo il doppio, afferma la segretaria del Gsse Pauline Schneider, citata in una nota. L’organizzazione anti-militarista denuncia d’altro canto la volontà del Consiglio degli Stati (che ha pure approvato un credito d’impegno di 660 milioni per l’acquisto di mezzi di difesa terra-aria di media gittata) di “preparare il terreno per un riarmo senza limiti”, addirittura “tagliando i viveri ad altri settori”.