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‘Potenziale dei tetti poco sfruttato, servono grandi impianti’

Jürg Rohrer è tra i più noti ricercatori sul fotovoltaico in Svizzera. Spiega perché è sensato costruire parchi solari nelle Alpi, anche in campo libero

Presto anche ad alta quota
(Keystone)
10 giugno 2023
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È noto come ‘atto mantello’ (‘Mantelerlass’, in tedesco), e se ne sta occupando il Consiglio degli Stati proprio in queste settimane. La ‘Legge federale su un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili’ – questo il suo nome esatto – stabilisce obiettivi ambiziosi per la produzione di corrente da fonti rinnovabili: 35 Terawattora (TWh) entro il 2035. Ventinove di questi li dovrebbe fornire il fotovoltaico. Significa in pratica raddoppiare l’attuale ritmo di crescita annuo dell’elettricità prodotta grazie all’energia solare.

Sono scenari realistici? «Non abbiamo altra scelta», risponde Jürg Rohrer. Nell’intervista realizzata a margine di un recente evento sul tema organizzato da Swissolar a Bellinzona, il docente di energie rinnovabili ed efficienza energetica alla Scuola superiore zurighese di scienze applicate (Zhaw) spiega a ‘laRegione’ il perché di quest’assenza di alternative: «Vogliamo decarbonizzare l’intero sistema energetico entro il 2050; e a termine dobbiamo rimpiazzare la corrente prodotta dalle centrali nucleari ancora in esercizio. Il metodo più efficiente per farlo – oltre che risparmiare corrente, utilizzandola in maniera più efficiente – è aumentare la produzione di elettricità a partire da fonti energetiche rinnovabili. Dal punto di vista tecnico è fattibile, senza dubbio. La questione è: esistono le condizioni quadro adeguate che lo consentono?».

Il Parlamento le sta predisponendo: ha già adottato la legge urgente sul fotovoltaico (‘Solarexpress’), e ora sta approvando quella per l’eolico e il ‘Mantelerlass’. In questo contesto, perché gli impianti fotovoltaici alpini sono così interessanti?

Non abbiamo soltanto un problema generale di approvvigionamento energetico, che ci obbliga ad aumentare la produzione di corrente elettrica. In futuro avremo anche un problema specifico: un quantitativo insufficiente di corrente nel periodo invernale. Per questa ragione è importante produrne facendo capo a tecnologie che rendono in special modo nei mesi freddi. Il fotovoltaico alpino è una di queste: ad alta quota lo stesso impianto ha una resa circa tre volte superiore che sull’Altopiano. Anche l’energia eolica sarebbe una possibilità. Ma la popolazione l’apprezza meno del fotovoltaico.

Perché i pannelli solari rendono di più in alta quota e in inverno?

L’irradiazione è superiore, in inverno non c’è quasi mai nebbia e possiamo sfruttare il riflesso del sole sulla neve. A basse temperature, inoltre, questi impianti funzionano in modo più efficiente. Tutti questi effetti fanno sì che nelle Alpi un impianto possa contribuire in inverno a circa la metà della produzione annuale. A condizione che i siti siano idonei e i moduli – bifacciali – posizionati adeguatamente.

Anche i pannelli solari galleggianti sul Lac des Toules (Vs), o quelli sulle dighe dell’Albigna (Gr) e del Muttsee (Gl) sono esempi di fotovoltaico alpino. Non si dovrebbero sfruttare le dighe e altre grandi infrastrutture esistenti a questo scopo, prima di andare a intaccare paesaggi alpini più o meno vergini?

Buona parte dei progetti di fotovoltaico alpino che entro la fine del 2025 rientreranno nell’‘offensiva solare’ [l’Ufficio federale dell’energia prevede che ne verranno presentati 200 al massimo, ndr] dovranno riguardare impianti in campo libero. Perché il potenziale delle dighe non è grande. Sono costruite per lo più in valli strette, dove l’irradiazione solare non è buona. E nella maggior parte dei casi il bacino è rivolto a sud: i moduli quindi possono essere installati solo sulla corona della diga. Dobbiamo essere consapevoli che qui non parliamo di qualche pannello solare sul tetto di una capanna alpina, bensì di impianti in campo libero che potrebbero estendersi per svariati chilometri quadrati.

Le aspettative erano enormi quando il Parlamento lo scorso autunno ha approvato il ‘Solarexpress’. Poi però Grengiols Solar – il progetto vallesano dal quale tutto è partito – ha dovuto essere drasticamente ridimensionato. La montagna partorirà un topolino?

Sull’onda dell’euforia iniziale, alcuni hanno progettato impianti sovradimensionati. In seguito ci si è resi conto che in molti luoghi la capacità della rete elettrica è insufficiente: d’accordo costruire un impianto in alta quota, ma poi come trasportiamo sul fondovalle la corrente? È una storia un po’ triste. Perché oggi appare evidente che taluni fornitori di energia elettrica non hanno capito affatto l’urgenza della transizione energetica, preferendo invece restare aggrappati a vecchi schemi. Schemi dai quali occorre staccarsi al più presto: dobbiamo decidere e costruire molto più velocemente di quanto abbiamo fatto in passato.

L’albergatore di Briga ed ex presidente del Ps Peter Bodenmann, ideatore dell’impianto di Grengiols, afferma che alla fine del 2025 non ci sarà un solo parco solare nelle Alpi. Concorda?

Difficile dire quanti saranno e dove. Ma qualcuno ci sarà: sia in prossimità di impianti di risalita, sia in campo libero. Quel che è certo è che esistono degli ostacoli. E non mi riferisco solo alla questione della capacità della rete elettrica. Alcune organizzazioni ambientaliste hanno annunciato che si opporranno [in Vallese Pro Natura e i Verdi hanno lanciato il referendum contro il decreto cantonale che facilita la costruzione di simili impianti, ndr]. Bisognerà vedere se lo faranno in modo sistematico, oppure solo con alcuni progetti. Al momento, non sono sicuro che i 2 TWh di produzione annua [la soglia raggiunta la quale nessun altro progetto beneficerà delle procedure facilitate e dei contributi federali, ndr] potranno essere sfruttati con i progetti che arriveranno a Berna entro la fine del 2025. Il numero dei progetti che verranno presentati dipenderà soprattutto da quanto attrattivo sarà l’investimento. E questo non lo sappiamo ancora, perché l’Ufficio federale dell’energia non ha ancora pubblicato le cifre sull’evoluzione dei prezzi dell’elettricità.

Quali sono le esperienze fatte finora col fotovoltaico alpino, in Svizzera e all’estero?

Sono in prevalenza positive. Non sappiamo ancora come ancorare al meglio al terreno in alta quota migliaia, magari decine di migliaia di moduli, affinché reggano a venti impetuosi e tempeste, funzionino in maniera efficiente e non pregiudichino la natura. Su quest’aspetto specifico mancano ancora dati. Non solo in Svizzera. A mia conoscenza esiste un solo grande impianto fotovoltaico alpino, in Austria, ma i pannelli sono stati posati su una parete rocciosa e pertanto non offrono dati utili per quanto riguarda l’ancoraggio al terreno.

Insistiamo: non bisognerebbe anzitutto sfruttare il potenziale di tetti e facciate degli edifici e delle infrastrutture esistenti, prima di tappezzare di pannelli solari le montagne?

Conosco molto bene questa critica. Abbiamo stimato il potenziale dei tetti. È enorme: 55 TWh, se il 95% degli edifici fosse equipaggiato con un impianto. E il fotovoltaico, se vogliamo centrare l’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050, dovrebbe produrne 45 di TWh. Potremmo dire: ok, allora facciamolo! Invece, attualmente solo il 7% circa dei tetti in Svizzera viene sfruttato. E gli impianti esistenti utilizzano in media solo la metà del potenziale. Con la volontarietà non arriveremo lontano, al massimo a un 30%. Per questo bisognerebbe introdurre un obbligo di posare pannelli solari: non solo per gli edifici nuovi, anche per quelli esistenti. Invece il Consiglio degli Stati [che la scorsa settimana ha respinto un tale obbligo, ndr] va nella direzione opposta. E qui è anche una questione di tempistica: se a medio termine vogliamo produrre più corrente col fotovoltaico – e dobbiamo farlo – dovremo concentrarci su impianti di grandi dimensioni: sui grandi tetti, sui parcheggi, sulle serre, su altre infrastrutture (ripari fonici lungo le autostrade, cave dismesse ecc.), ma anche in campo aperto sulle Alpi. Giocare l’uno contro l’altro, ‘costruito contro campo aperto’, non ha più senso ormai. Questa è una discussione che semmai avremmo dovuto fare vent’anni fa.

Si sente spesso un’altra critica: gli impianti fotovoltaici in alta quota pregiudicano la biodiversità e rovinano il paesaggio alpino. Cosa ne pensa?

Ogni intervento nella regione alpina cambia il paesaggio. Ma è sbagliato pensare che se non faremo nulla, tutto rimarrà come ora. Gli stessi cambiamenti climatici stanno già modificando il paesaggio alpino. Numerosi studi realizzati in pianura, nell’Altopiano, hanno dimostrato che la biodiversità ne trae persino vantaggio, a condizione che gli impianti siano costruiti in luoghi adeguati e i pannelli siano posizionati in maniera corretta. Se sarà così anche nelle Alpi, per impianti di grandi dimensioni, non lo sappiamo ancora.

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