Svizzera

La Bns alza il tasso guida all’1%

La mossa dell’istituto mira a contrastare la crescente pressione inflazionistica. L’aumento è in linea con le attese degli analisti

(Keystone)
15 dicembre 2022
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Come altri istituti centrali anche la Banca nazionale svizzera (Bns) inasprisce ulteriormente la sua politica monetaria, per cercare di soffocare l’aumento dei prezzi: la banca ha innalzato di 0,50 punti il suo tasso guida, portandolo dal +0,50% al +1,00%. E non sono esclusi altri ritocchi in futuro, mette in guardia l’entità guidata da Thomas Jordan.

Si tratta di contrastare "l’accresciuta pressione inflazionistica e l’ulteriore diffusione dei rincari", precisa la Bns in un comunicato odierno. La mossa dell’istituto – che giunge all’indomani di un ritocco della medesima portata operato dalla Federal Reserve americana (il tasso è nella fascia fra 4,25 e 4,50%) e in attesa che la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale europea (Bce) scoprano a loro volta le carte – è in linea con le attese della maggioranza degli analisti: 18 su 28 specialisti interrogati nell’ambito di un sondaggio della Reuters prevedevano 0,5 punti, nove 0,75 e uno solo 0,25.

Dopo aver mantenuto il tasso di riferimento fermo per oltre sette anni la Bns aveva già operato una prima stretta di 0,5 punti (da -0,75% a -0,25%) lo scorso 16 giugno, quando si era mossa a sorpresa prima della Bce. Un secondo rialzo era intervenuto il 22 settembre: è stato quello che ha segnato la fine dell’epoca degli interessi negativi, con il passaggio del tasso guida dal -0,25% al +0,50%. Quello odierno è quindi il terzo intervento verso l’alto nel giro di sei mesi. E non è detto che sia finita: "Non è da escludere che si rendano necessari nuovi rialzi", si legge nella nota.

Franco forte? Va bene così

Come noto dal giugno scorso, la Bns non considera più troppo elevata la quotazione del franco: nel comunicato odierno non parla più nemmeno del tema. Al contrario, la banca conferma la sua disponibilità ad agire all’occorrenza sul mercato dei cambi per garantire stabilità dei prezzi a medio termine: l’istituto ha in tal senso una soglia fissata al 2%. A questo proposito la Bns mantiene quasi invariate le sue previsioni: i prezzi al consumo dovrebbero salire del +2,9% quest’anno, del +2,4% nel 2023 e del +1,8% nel 2024; tre mesi or sono le stime erano rispettivamente di +3,0%, +2,4% e +1,8%. Il nuovo pronostico si basa peraltro sull’assunto che il tasso guida Bns rimanga pari all’1,0%.

È opinione comune che la forza della moneta elvetica permetta di ergere un vallo contro l’inflazione importata: stando agli ultimi dati (relativi a novembre) il rincaro in Svizzera è infatti al 3,0%, a fronte del 7,1% negli Usa e del 10,0% nell’Eurozona. Naturalmente il franco forte ha un impatto negativo sulle esportazioni, ma stando alla maggioranza degli esperti l’industria svizzera sembra essersi abituata, nel corso degli anni, a sostenere il fardello monetario. In tal modo l’euro si è ormai stabilmente orientato a un corso inferiore alla parità: stamane la moneta europea veniva scambiata a circa 0,98 franchi. In giugno costava ancora 1,05 franchi.

Il quadro macroeconomico tiene, ma in Ticino un po’ meno

I dati economici che fanno da cornice alle decisioni della Bns appaiono tutto sommato digeribili: secondo i dati della Segreteria di Stato dell’economia (Seco) il rallentamento previsto per il 2023 a livello nazionale non dovrebbe piombare in zona negativa – lo scenario ‘intermedio’ prevede comunque una crescita del Pil dell’1%, dopo il +2% stimato per quest’anno. Ma è presto per rilassarsi.

Va ricordato infatti che la prospettiva potrebbe fluttuare, anche in ragione delle incertezze sul piano energetico e geopolitico: se lo scenario ‘ottimista’ segna +1,6 punti di Pil, quello negativo scivola a -0,3%. Preoccupa inoltre il dato per il Ticino elaborato da Bak-economics secondo cui il Pil cantonale 2023 calerà a -0,1%. "Rispetto all’evoluzione dell’economia nazionale, a livello cantonale la decelerazione è stata molto più rapida e se nel 2021 il Pil era aumentato del 4,2%, nel 2022 si dovrebbe registrare già una prima contrazione simile a quella prevista per il 2023 e pari al -0,1%", osserva il ricercatore Ustat Eric Stephani (l’Ufficio di statistica negli scorsi giorni ha pubblicato il suo bollettino trimestrale "Monitoraggio congiunturale").

Lavoro: luci e ombre

Sul piano del lavoro, "negli ultimi tre mesi, come nei primi mesi dell’anno, emerge una netta crescita degli impieghi, in aumento del 2,7% in Ticino e del 2,2% in Svizzera. Crescita confermata anche dalla Statistica degli occupati che però fa emergere anche tendenze molto diverse: da una parte diminuiscono gli occupati svizzeri e titolari di un permesso C, dall’altra aumentano gli occupati con un permesso B e i frontalieri. Secondo Stephani, "tra i motivi che spingono a questo risultato c’è lo squilibrio demografico che porta un numero maggiore di residenti ad andare in pensione rispetto a quanti entrino dalla formazione al mercato del lavoro. Un altro motivo è quello dello sviluppo asimmetrico della domanda e offerta di lavoro in certi settori economici, come la sanità o la ristorazione, che offrono sempre più posti di lavoro ma sono confrontati anche con una carenza di manodopera residente". Stando alla Seco gli impieghi in Svizzera dovrebbero comunque aumentare, anche se meno di prima: +0,7% nel 2023, rispetto al +2,7% del 2022.

Incertezze per banche e industria

Dal punto di vista della produzione, sono diversi i settori economici che temono di navigare verso gli scogli. "In quasi tutti i settori analizzati dal Kof (il Centro di ricerca congiunturale del Politecnico di Zurigo, ndr) si registra un leggero peggioramento rispetto ai risultati raccolti tre o dodici mesi fa, ma i settori che sembrano più esposti alle incertezze sono l’industria manifatturiera e le banche", spiega Stephani: "Nel comparto delle attività manifatturiere sono sempre di più gli imprenditori insoddisfatti dai volumi degli ordini per i prossimi mesi, in particolare tra le aziende che operano maggiormente all’estero", mentre "nel comparto delle banche emerge un peggioramento della domanda di servizi bancari, dei volumi delle transazioni sui titoli per la clientela e in generale della situazione reddituale".

Consumatori mai così sfiduciati

Altre nuvole le disegna il dato sul clima di fiducia dei consumatori, che misurando tramite un’indagine ricorrente l’opinione circa la situazione economica generale, le proprie finanze, l’evoluzione dei prezzi e la sicurezza dei posti di lavoro, fornisce il polso di quanto le persone siano disposte a spendere per beni e servizi: a ottobre l’indice era precipitato a -47 (su una scala compresa tra -200 e +200), un record negativo che supera addirittura il -39 dell’aprile 2020, in piena prima ondata pandemica. Resta da vedere se l’incertezza percepita si tradurrà effettivamente in una riduzione dei consumi, la cui cifra d’affari nello scorso trimestre è ancora cresciuta in termini reali del 2,7%.

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