Svizzera

Sgombero collina Mormont, il Ministero pubblico ricorre al TF

Il Tribunale cantonale vodese in Appello aveva dichiarato nullo il decreto di accusa verso gli attivisti che avevano rifiutato di farsi identificare

(Keystone)
4 agosto 2022
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Il Ministero pubblico vodese ha deciso di ricorrere al Tribunale federale (TF) contro la decisione del Tribunale cantonale di annullare la condanna degli attivisti della collina di Mormont (VD) che si erano rifiutati di fornire le loro generalità.

Al gruppo di ambientalisti, confluiti sulla collina di Mormont nell’ottobre 2020 per protestare contro l’espansione della cava appartenente a Holcim, il 24 febbraio 2021 era stato ordinato di liberare l’area entro 20 giorni; in caso contrario si sarebbe fatto ricorso alle maniere forti.

Il 29 di marzo, a causa del mancato rispetto dell’ingiunzione, Holcim ha richiesto lo sgombero della zona. L’indomani agenti di polizia sono intervenuti.

Nel processo che ne è seguito, diversi attivisti sono stati condannati dal Tribunale distrettuale di La Côte. Quelli che si erano rifiutati di identificarsi erano stati condannati tramite decreto d’accusa.

Il 1° luglio scorso, la Camera d’appello penale del Tribunale cantonale vodese ha però dichiarato nullo il decreto d’accusa emesso dalla Procura contro questi attivisti ritenendo che questo non contenesse gli elementi necessari a individuare gli imputati senza alcuna confusione possibile.

Il caso è così stato rinviato all’istanza inferiore (la Procura, dunque). Tale decisione è ora sospesa, in attesa della decisione del TF.

Il ricorso al TF mira a garantire "una certa parità di trattamento" tra gli imputati, ha spiegato oggi il procuratore generale vodese Eric Cottier. A suo avviso è "incompatibile con l’ordinamento giuridico il fatto che una persona che rivela la propria identità, assumendo i suoi atti e le loro conseguenze, possa essere condannata, mentre un’altra possa evitare una condanna semplicemente rifiutandosi di identificarsi".

La decisione del Tribunale cantonale "avalla la malafede" e "approva un abuso del diritto". Tale sentenza "rompe la parità di trattamento a danno dell’imputato che si assume le conseguenze dei suoi atti e ostacola l’azione penale diretta contro chi non si assume le proprie responsabilità assistendolo nella sua ricerca dell’impunità", sostiene Cottier.

Il procuratore generale sottolinea anche che si tratta di questioni di principio che vanno ben oltre il caso specifico. La posta in gioco riguarda "l’esercizio generale dell’azione penale".

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