Il Nazionale potrebbe seguire gli Stati e non entrare in materia sull’applicazione dei salari minimi ai lavoratori distaccati a livello nazionale
L’idea di imporre l’applicazione dei salari minimi ai lavoratori distaccati a livello nazionale, mediante un’aggiunta alla legge in vigore, ha le gambe corte. Dopo la non entrata nel merito da parte del Consiglio degli Stati (25 voti a 17 e una astensione) nel settembre scorso su un disegno di legge governativo frutto di una mozione dell’ex “senatore” Fabio Abate (PLR/TI), anche il Nazionale potrebbe fare altrettanto in dicembre.
Con 12 voti a 11 e una astensione, la Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio nazionale (CET-N) proporrà al plenum di non entrare in materia sul progetto. Il motivo? Oltre a minare il partenariato sociale, la maggioranza crede che spetti ai Cantoni far applicare salari minimi alle persone che lavorano sul proprio territorio.
Una forte minoranza ricorda tuttavia, si legge in una nota odierna dei servizi parlamentari, che buona parte dei Cantoni si è mostrata favorevole al progetto, la cui attuazione permetterebbe di garantire la certezza del diritto e la tutela dei lavoratori svizzeri.
Con la sua mozione, Abate avrebbe voluto iscrivere nella Legge federale sui distaccati (LDist) il rispetto del salario minimo laddove esiste. Alla base dell’atto parlamentare inoltrato nel 2018 e approvato dai due rami del Parlamento, c’era l’introduzione, nei cantoni di Neuchâtel, Giura e Ticino (a cui si sono aggiunti nel frattempo Ginevra e Basilea Città), di leggi sul salario minimo per contrastare il dumping sociale e salariale.
La revisione della legge prevede la possibilità di imporre ai datori di lavoro esteri che inviano i propri dipendenti in Svizzera anche il rispetto delle condizioni salariali minime prescritte a livello cantonale. Questo aspetto non è al momento regolato nella LDist.
Per rispettare le norme salariali, le aziende e i relativi lavoratori dislocati dovrebbero rientrare nel campo d’applicazione delle leggi cantonali in materia. Il rispetto delle disposizioni sarebbe controllato dai Cantoni in base al diritto cantonale.
Nel corso della seduta autunnale del parlamento, il ministro dell’economia Guy Parmelin aveva affermato agli Stati che il progetto governativo teneva conto della ripartizione delle competenze tra Cantoni e Confederazione stabilita nella Costituzione federale e avrebbe garantito l’osservanza del principio di non discriminazione sancito nell’Accordo sulla libera circolazione tra la Svizzera e l’UE: tutti i datori di lavoro i cui lavoratori sono attivi in un Cantone che prevede una legge sul salario minimo sono trattati allo stesso modo.
Stando alla sinistra, sostenuta anche dal Centro, battutasi per l’entrata nel merito, si sarebbe trattato di inserire nella legge sui lavoratori distaccati anche il rispetto dei salari minimi cantonali, per ragioni di sicurezza giuridica e, soprattutto, per rispondere ai problemi di diversi Cantoni di frontiera alle prese con un marcato dumping salariale.
Diversi oratori di destra, poi usciti “vincitori” dal dibattito, hanno invece sostenuto che la fissazione di salari minimi cantonali è una misura di politica sociale la cui attuazione spetta ai Cantoni, mentre la LDist rientra nell’ambito della politica economica, di competenza della Confederazione.
A tale riguardo, Guy Parmelin aveva spiegato che il progetto governativo rispondeva proprio a questo dilemma, messo in rilievo da una sentenza del Tribunale federale, stabilendo in questo modo una maggiore sicurezza giuridica. Sia Parmelin che i sostenitori della legge avevano precisato che i Cantoni senza un salario minimo non sarebbero stati obbligati a rispettarlo.
Alla fine della discussione, la maggioranza del plenum ha votato la non entrata nel merito, argomentando come non fosse necessario legiferare a livello nazionale, poiché a suo avviso i Cantoni possono risolvere da soli il problema, ricorrendo alla commissioni paritetiche o al tradizionale partenariato sociale.