I timori di Alex Farinelli dopo il risicato ‘no’ odierno. ‘Faccio fatica a capire in quale direzione potremmo andare adesso’.
Alex Farinelli, consigliere nazionale del Plr, come analizza il ‘no’ alla legge sul CO2?
Tutti, o quasi, a parole dicono di voler fare qualcosa per affrontare la sfida del cambiamento climatico, dell’uscita dai combustibili fossili. Poi però non si riesce a far passare nemmeno un compromesso che godeva di un’ampia base di sostegno a livello parlamentare. Adesso faccio fatica a immaginare in quale direzione si possa andare.
La mobilitazione contro le due iniziative sui pesticidi ha trascinato nella fossa la legge sul CO2?
È possibile. Le votazioni concomitanti sulle due iniziative sui pesticidi hanno mobilitato gli elettori nelle zone rurali. Posso immaginare che qui i cittadini si siano sentiti messi un po’ sotto pressione. Inoltre, credo che il contesto – parlo dell’incertezza che sussiste a livello economico a causa della pandemia – abbia pure avuto un ruolo nel risicato ‘no’ alla legge sul CO2.
Anche una parte importante dell’elettorato liberale-radicale ha respinto la legge. Lo si può leggere anche come un segnale di sfiducia nei confronti dei vertici del partito.
No. Il riorientamento ‘verde’ del Plr non è stato imposto dai vertici, ma è stato avallato a larghissima maggioranza dalla base del partito. Il fatto è che il passaggio da un’idea alla sua concretizzazione è sempre delicato.
Questa non era una legge «socialista», come la definisce il presidente dell’Udc Marco Chiesa. Ma affidava allo Stato un ruolo importante, e prevedeva anche sovvenzioni ad ampio raggio. Qualcosa che non era proprio nel Dna del suo partito.
Questa legge non attribuiva un ruolo così importante allo Stato. Puntata invece sulla responsabilità individuale: in virtù delle tasse incitative previste, ogni cittadino sarebbe stato reso ancor più responsabile del proprio comportamento. La legge era liberale: non imponeva alcun divieto. Mentre già oggi sento i Verdi parlare di divieti: questo sì che sarebbe un intervento forte da parte dello Stato.
Non teme una crisi d’identità per il suo partito, insomma?
Assolutamente no. Ripeto: la base ha sostenuto a larghissima maggioranza il cambiamento. E la proposta di una tassa sui biglietti aerei è venuta addirittura dalla stessa assemblea dei delegati. Una parte dell’elettorato liberale-radicale non ha ostenuto la legge. Ma fa parte dell’ordine delle cose, per un partito che gioca al centro dello scacchiere politico.
Il Parlamento dovrà rimettersi al lavoro, ricominciare da capo o quasi. Come la vede?
Mi pare di capire che l’Udc non abbia molta voglia di fare qualcosa. Il messaggio che ha lanciato in questa campagna era che è inutile che la Svizzera faccia troppi sforzi contro il riscaldamento globale.
L’Udc afferma di avere pronto un piano B. E si potrà comunque rilanciare sui punti incontestati della legge affossata.
Sui punti cruciali di questa legge, quelli che davvero contano, l’Udc non ha mai manifestato un’apertura. Starà soprattutto a loro, comunque, indicare quali sono le strade da percorrere. Una cosa è certa: ci vorrà un anno, un anno e mezzo per elaborare una nuova legge in Parlamento; e probabilmente vi sarà ancora una coda referendaria, perché posso immaginarmi che il progetto alla fine sarà o troppo estremo o troppo blando, per cui qualcuno lo vorrà portare davanti al popolo. La mia paura è che potremmo infilarci in una sorta di vicolo cieco: nel senso che arriveremo a un punto in cui saremo obbligati a chiedere sacrifici ancora più importanti (ma apparentemente è impossibile), oppure a rinunciare all’obiettivo che ci siamo impegnati a rispettare firmando gli accordi di Parigi sul clima.