Commissione degli Stati vuole facilitare i provvedimenti cautelari nei confronti dei media. Vasta alleanza del settore invita i ‘senatori’ a opporsi.
La Costituzione federale vieta la censura. Ma chiunque si senta leso in maniera incombente nei suoi diritti può chiedere a un giudice di bloccare – prima che avvenga, o subito dopo – la pubblicazione di un servizio giornalistico. Il tribunale può ordinare immediatamente e senza sentire la controparte un provvedimento cautelare nei confronti del mass media in questione. A una condizione: che la pubblicazione dell’articolo o la diffusione di un’emissione radio-televisiva sia suscettibile di causare un “pregiudizio particolarmente grave” alla persona o all’istituzione interessata.
Per la maggioranza della Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati (Cag-S), l’asticella è posta troppo in alto. Lo scorso 12 aprile ha adottato un emendamento dell’avvocato Thomas Hefti (Plr/Gl), che propone di stralciare l’avverbio dall’articolo 266a del Codice di procedura civile (Cpc). In futuro un giudice avrebbe così la facoltà di bloccare la diffusione di informazioni su una persona o un’istituzione già in presenza di un “pregiudizio grave”, e non “particolarmente grave”. “Ci sono sempre ancora troppi articoli di stampa che escono per creare sensazione, senza rispettare la sfera privata delle persone interessate”, ha spiegato al ‘Tages-Anzeiger’ il presidente della Commissione Beat Rieder (Centro/Vs).
Una questione di lana caprina? Cavilli da giuristi? Nient’affatto, secondo una vasta alleanza che ora denuncia “una minaccia inquietante” sulla libertà di stampa. Stampa Svizzera, i sindacati impressum e syndicom e numerosi altri attori del settore puntano il dito contro un emendamento “gravido di conseguenze per il giornalismo di qualità indipendente”. In una lettera spedita a tutti i ‘senatori’, invitano a respingere la proposta e a seguire invece la minoranza commissionale (Carlo Sommaruga e Christian Levrat del Ps) e il Consiglio federale, che vogliono rimanere alla formulazione e alla prassi attuali. La revisione del Cpc – nel quale il nuovo articolo 266a è inserito – verrà affrontata dal Consiglio degli Stati il 16 giugno, nella terza settimana della sessione estiva delle Camere federali.
La soppressione dell’avverbio avrebbe “un impatto considerevole sulla pratica dei tribunali” e “conseguenze negative molto serie sulla libertà di stampa garantita dalla Costituzione federale”, scrive l’alleanza in una nota. La formulazione in vigore è stata “espressamente voluta dal legislatore per proteggere il lavoro giornalistico contro qualsiasi interferenza eccessiva e disproporzionata”. L’emendamento Hefti abbassa la soglia a partire dalla quale un giudice può ordinare un provvedimento cautelare nei confronti dei mass media (e ciò non mancherà di incoraggiare potenziali istanti a adire i tribunali per impedire o ritardare la pubblicazione di informazioni scomode). In questo modo si “condannerebbero precipitosamente ricerche giornalistiche critiche o impopolari”. Lo scenario: un massiccio aumento delle (costose) procedure giudiziarie, “in particolare nei confronti di testate regionali e locali”, molte delle quali non hanno le risorse per difendersi.
I provvedimenti superprovvisionali possono avere conseguenze dirette sul lavoro d’indagine dei media, ha ricordato di recente il ‘Tages-Anzeiger’, che ha rivelato l’esistenza di un emendamento del quale la Cag-S non aveva fatto menzione nei suoi ultimi comunicati. Lo dimostra la vicenda che vede coinvolti i giornalisti romandi Marie Maurisse e François Pilet, che pubblicano sul loro sito Gothamcity.ch informazioni estratte da fonti giudiziarie riguardanti soprattutto casi di riciclaggio, corruzione e altri delitti economici. Molti di questi dossier vengono bloccati dai legali delle persone o delle imprese citate o coinvolte nelle vicende, costringendo i due giornalisti a mettere mano al portafoglio per dimostrare le loro ragioni davanti ai tribunali. Nella maggior parte dei casi i provvedimenti vengono tolti. Ma spesso ciò accade dopo mesi o anni, quando ormai il servizio giornalistico non è più di attualità.