Svizzera

Senza pesticidi? ‘Si può fare’, ‘Dateci più tempo’

Tanja Bisacca (Donne contadine ticinesi) e Renzo Cattori (tra i pionieri del ‘bio’ in Ticino) a confronto sulle iniziative in votazione il 13 giugno

Bisacca (sin.) e Cattori
(Keystone)
18 maggio 2021
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Signora Bisacca, quand’è stata l’ultima volta che ha avuto per le mani un pesticida sintetico?

L’anno scorso, quando ho trattato la vigna. Con il merlot purtroppo non riusciamo a fare a meno dei prodotti chimici.

E lei, signor Cattori?

Penso nel 1985, perché l’anno dopo ho convertito l’azienda al biologico. Ma io sono nato col Ddt [insetticida altamente tossico e inquinante usato su larga scala in agricoltura fino agli anni Settanta, ndr]; mi ci sono anche sporcato le gambe e i piedi. Il fatto è che a quel tempo sembrava innocuo, nessuno ci faceva caso. Un po' come oggi il glifosato [erbicida tra i più utilizzati al mondo, ndr]: siccome è biodegradabile, allora qualcuno dice che lo si può anche bere.

Lei è l’esempio vivente che rinunciare ai pesticidi sintetici si può. Senza troppi problemi?

Lo si può fare. Senza troppi problemi? Lascio un punto di domanda. 

Perché?

Se lo fai per conto tuo, se sei convinto, pronto a superare qualsiasi difficoltà, le soluzioni le trovi. Ad esempio: se ho una vigna di merlot e non voglio più usare prodotti chimici, strappo il merlot e metto altre varietà. Ma è una cosa che non si può imporre.

Bisacca: Poi però non esisterebbe più il merlot: sarebbe un peccato.

Cattori: D’accordo, ma quel che voglio dire è che non sarebbe impossibile farne a meno. Se la tendenza è quella di andare verso le varietà resistenti, un giorno forse bisognerà rinunciare anche al merlot.

Parlava di problemi. Quali?

Il problema non è tanto come difendersi dai parassiti e dai funghi, ma come sopravvivere su un mercato che impone una qualità, dei ritmi, dei volumi e dei costi ai quali – senza la chimica – è molto difficile far fronte. Nel biologico molti prodotti non li faccio, semplicemente perché come li vuole il mercato non me li posso permettere. La patata, la carota, la mela: devono sempre essere perfette. E così oggi gli agricoltori sono costretti a gettare una parte non trascurabile della loro produzione, perché non corrisponde agli standard richiesti. Il 20% in meno di produzione indigena che secondo l’Unione svizzera dei contadini (Usc) avremmo in caso di ‘sì’ alle iniziative, lo potremmo almeno in parte recuperare riducendo lo spreco. Ecco: in fondo ha poco senso parlare di divieto dei pesticidi, se prima non affrontiamo alla radice problemi come lo spreco in agricoltura.

Se le due iniziative verranno accolte cambierà qualcosa per lei?

Non direttamente.  

E per lei, signora Bisacca?

Per quanto riguarda i pesticidi non cambierebbe granché. Produco secondo il ‘bio federale’, e ho sempre fatto il possibile per ridurre al minimo l’uso di prodotti chimici. Diverso è il discorso del foraggio per le vacche nutrici. A causa della siccità degli ultimi due anni sono rimasta senza. Adesso dovrò acquistarne per almeno un paio di mesi, prima che le mucche vadano all’alpe. In valle lo spazio è quello che è, non c’è grande disponibilità. E sul mercato al momento il foraggio scarseggia, per cui dovrò andare Oltralpe o in Italia a procurarmelo. Sarà molto difficile per noi se i periodi di siccità si faranno più frequenti e se dovesse passare l’iniziativa per l’acqua potabile [che in linea di massima vieta l’acquisto di foraggio, benché i promotori ora affermino che sarà sempre possibile acquistarlo in Svizzera, ndr].

Cattori: Il problema del foraggio effettivamente esiste, soprattutto per le aziende agricole di montagna. Ma lo si può risolvere. Toccherà al Parlamento, se del caso, applicare in maniera ragionevole l’iniziativa per l’acqua potabile. E comunque ci saranno 8-10 anni di tempo per adeguarsi.

Bisacca: Otto-dieci anni nell’agricoltura sono veramente pochi, i promotori delle iniziative non se ne rendono conto. 

Lo Stato sosterrebbe il processo, gli agricoltori non sarebbero piantati in asso.

Bisacca: In teoria sì. Ma abbiamo visto come ci hanno ‘accompagnati’ quando [una dozzina d’anni fa, ndr] hanno eliminato i contingenti del latte. Il prezzo del latte è sceso a una velocità incredibile. Anche per questo molti agricoltori hanno paura. Io vedo che molti vorrebbero cambiare, ma lo vogliono fare a modo loro, con i loro tempi. Temono di essere messi ancor più sotto pressione: in dieci anni è impossibile farcela. Non dimentichiamo che trent’anni fa eravamo ancora al ‘tutto sintetico’. Oggi la situazione è ben diversa. Un cambiamento c’è stato. E non di poco conto. Resta ancora parecchio da fare, ma siamo sulla buona strada. 

Cattori: Io ho cambiato in altri tempi, quando per certi versi era più dura. Producevo ortaggi per i supermercati. E quando ho convertito l’azienda, questi mi hanno detto ‘La tua verdura non la vogliamo più‘. Non mi hanno messo il tappeto rosso, mi hanno messo alla porta [ride]. Io non posso non essere favorevole a proposte in linea con quanto pensavo già 35 anni fa. Ma capisco i timori di chi – pur condividendo l’idea che la chimica vada ridotta al minimo – non vede di buon occhio le iniziative. Anche perché la società oggi sta andando troppo veloce rispetto ai bisogni dell’agricoltura. 

In che senso?

L’orticoltura ticinese – parlo della produzione di pomodori, zucchine, melanzane e così via – non è mai andata così bene come nel 2020. E si è pensato: ‘La grande distribuzione sarà finalmente con noi, perché ha capito che con il lockdown e le frontiere chiuse deve sostenere l’agricoltura regionale’. Ebbene, adesso comprano le melanzane in Marocco per cinque centesimi in meno. I produttori regionali, confrontati con un eccesso di melanzane sul mercato, sono costretti così a venderle sottocosto. Un’agricoltura fragile, in balìa della globalizzazione, obbligata a produrre secondo le condizioni dettate dalle grandi catene di distribuzione: è questo il paradigma imperante, che va cambiato.

Produrre sempre di più, sempre più velocemente, sempre più a buon mercato: per gli agricoltori le iniziative non potrebbero essere un’opportunità per uscire da questo circolo vizioso?

Bisacca: Non vedo perché si debba passare da queste iniziative per uscirne. Le contadine e i contadini stanno già facendo molto per migliorare la loro produzione, per renderla più sostenibile e più direttamente accessibile alla popolazione. Il problema principale non sono gli agricoltori, né la grande distribuzione. È il consumatore che vuole tutto e sempre, anche fuori stagione.

In Svizzera la parte del bilancio familiare destinata all’alimentazione si è ridotta considerevolmente negli ultimi decenni. E la quota di mercato dei prodotti bio è di poco superiore al 10%. I consumatori non sembrano essere pronti a spendere di più per mangiare sano, né ad acquistare alimenti non esteticamente perfetti.

Bisacca: Prendiamo la carne: in Svizzera ne consumiamo tanta, e più della metà di quella che mangiamo è importata! Dobbiamo far capire al consumatore l’importanza di consumare ‘regionale’ e ‘stagionale’. 

Cattori: L’80% della superficie agricola del Sudamerica produce cereali per l’allevamento del bestiame. La carne sudamericana viene importata anche da noi. Ma visto che abbiamo carne nostrana di qualità, perché non ci ‘accontentiamo’ di questa, pagando un po’ di più e mangiandone magari meno spesso? E il frumento panificabile? Il 70-80% è importato! 

Bisacca: E oltretutto non è biologico!

Cattori: Quel che voglio dire è: d’accordo togliere la chimica dal piatto, d’accordo il bio; ma dire ‘no’ ai pesticidi non basta. Se davvero vogliamo fare qualcosa per l’ambiente, forse prima di tutto dovremmo modificare le nostre malsane abitudini alimentari e di consumo. Questo dev’essere un voto di coscienza, nel senso di una partecipazione consapevole alla salvaguardia dell’ambiente.

L’Accademia svizzera delle scienze naturali scrive che “l’attuale uso di pesticidi ha un impatto considerevole sull’ambiente e in particolare sulla biodiversità”. E lo stesso Consiglio federale riconosce che le concentrazioni di pesticidi e fertilizzanti nelle acque sotterranee è troppo elevata e va ridotta. Signora Bisacca, come si fa a dire che si può andare avanti di questo passo?

Nessuno nega che la situazione non sia soddisfacente. Ma la Svizzera è pur sempre un paese dove l’acqua potabile è di ottima qualità. E il problema dei residui di pesticidi nelle acque sotterranee non è dovuto solo all’agricoltura. Abbiamo la nostra parte di responsabilità, questo sì. Ma non è giusto addossare tutta la colpa ai contadini, come se a noi non importasse nulla dell’ambiente e della salute della popolazione. Come se noi non facessimo già molto per produrre nel modo più naturale possibile.

Cattori: Le due iniziative vanno nella giusta direzione, anche se bisogna riconoscere che la Confederazione non è stata a guardare per quanto riguarda i pesticidi di sintesi. Negli ultimi anni decine e decine di prodotti chimici sono stati tolti dal mercato.

L’Usc però ha fatto il diavolo a quattro affinché il Parlamento a Berna sospendesse la Politica agricola 2022 (Pa22+). Sembra che chi tiene le redini del settore non abbia alcuna volontà di muoversi con passo deciso verso un’agricoltura più ‘verde’, come quella preconizzata appunto dalla Pa22+. 

Bisacca: Io spero che la Pa22+ venga ripresa già il prossimo anno. Perché le contadine e i contadini vogliono davvero produrre nel modo più ecologico possibile. Vediamo anche noi che il suolo sta meglio se si usano meno pesticidi sintetici. Ma il cambiamento non può essere drastico come quello che vorrebbero i sostenitori delle iniziative. Molti abitanti delle città adesso hanno in testa l’ecologia. Ma poi vanno a cercare i prodotti meno cari. I ‘cittadini’ non si rendono conto delle conseguenze che queste drastiche iniziative avrebbero sui nostri contadini. Il mio messaggio è: ‘Quello che possiamo fare lo stiamo facendo: Dateci più tempo’.

Cattori: Il suolo è la base della produzione: bisogna mantenerne l’equilibrio. Fondamentalmente ha bisogno solo di aria, acqua e calore. Se è vivo, equilibrato, la pianta vive in un ambiente sano ed è più difficile che si ammali. Di conseguenza non avrà bisogno di pesticidi sintetici. Purtroppo, invece, il tipo di agricoltura che va per la maggiore provoca un circolo vizioso: a lungo con i concimi chimici si è voluto aumentare la produzione, in modo da abbassare i prezzi; salvo poi cercare di riparare i danni causati utilizzando massicciamente i pesticidi sintetici, al prezzo di un impoverimento del suolo. Per questo è importante che si faccia qualcosa.

Un grosso problema è la dipendenza – anche psicologica – di molti agricoltori dai prodotti chimici, dice il viticoltore neocastellano Jean-Daniel Perrochet, uno dei promotori dell’iniziativa sui pesticidi. Signora Bisacca, vi sentite così: dipendenti da Fenaco, Syngenta e altri colossi dell’agrochimica?

Non saprei dirlo, avendo una piccola azienda di montagna. Forse ‘dipendenti’ non è il termine giusto. Semplicemente, molti contadini non sono abituati a fare in altro modo.

Cattori: L’agricoltura nelle ultime due generazioni è stata imperniata sulla chimica, sulla ricerca della produttività e la riduzione dei prezzi. Chi fa agronomia al Politecnico federale di Zurigo, fondamentalmente è questo modello che studia ancora oggi. Se vuoi produrre grandi quantità, a prezzi bassi e con un’estetica perfetta, sei obbligato a usare pesticidi sintetici. Se a un grande distributore presenti una cassetta di insalata con un pidocchio su uno degli otto cespi che contiene, la cassetta te la devi riportare a casa. Non è solo il consumatore, quindi. Al mercato [i trasformatori, i distributori e la grande distribuzione, ndr] non interessa il biologico in sé. O meglio: gli interessa soltanto nella misura in cui lo può vendere in quantità consistenti e a un prezzo attrattivo.

I colossi del commercio al dettaglio però capiscono che la sensibilità dei consumatori è aumentata. Per questo lanciano progetti incentrati sulla sostenibilità, inasprendo in alcuni casi anche le loro linee guida sull’impiego dei pesticidi. C'è ad esempio chi adesso paga qualche centesimo in più la cassetta di frutta, in cambio dell’abbandono parziale di prodotti chimici.

Bisacca: Sì, ma di quanto hanno ridotto prima? [ride, ndr]

Cattori: Pubblicità più o meno occulta. Passata la votazione, tutto tornerà come prima. Quarant’anni fa nel settore c’erano persone con cui si poteva ragionare, che capivano il tuo problema. Oggi guardano le statistiche e fanno quel che dicono gli obbiettivi di vendita.

 

chi sono

Tanja Bisacca

Originaria di San Gallo, 44 anni, sposata, due figli. Si definisce «contadina per caso». È proprietaria dell’azienda agricola Bisacca a Dongio, in valle di Blenio, che suo marito rilevò dallo zio nel 1991. Da 16 anni alleva mucche nutrici e maiali. Cura anche una piccola vigna con 700 piante di Merlot. Produce secondo i dettami dell’ordinanza federale sull’agricoltura biologica (il ‘bio federale’). Speck, affettati e carne si possono acquistare direttamente in azienda, che di recente si è ingrandita con la costruzione di un agriturismo. Nel 2018 Tanja Bisacca è entrata nella Direttiva dell’Unione contadini ticinese (Uct). Dal 2019 è presidente dell’Associazione donne contadini ticinesi.

Renzo Cattori

Classe 1949, sposato, nel 1986 è stato il primo orticoltore del cantone a convertirsi all’agricoltura biologica. Per oltre 30 anni la sua azienda di 10 ettari a Cadenazzo ha prodotto un’ampia gamma di prodotti (più di cinquanta tipi di ortaggi, ecc.) secondo le direttive della Gemma Bio Suisse. Negli ultimi anni è passato a Demeter (agricoltura biodinamica). Distribuisce i suoi prodotti – essenzialmente in Ticino, ma anche nella Svizzera interna – tramite la Linea Bio Verde (fondata nel 1997 assieme al figlio Stefano), la cooperativa ConProBio e la vendita diretta in azienda. È presidente onorario dell’Associazione per un Piano di Magadino a misura d’uomo.

 

Le iniziative

L’iniziativa popolare ‘Per una Svizzera senza pesticidi sintetici’ vuole proibire entro dieci anni l’utilizzo di pesticidi sintetici in Svizzera. Il divieto si applicherebbe a tutte le aziende agricole, alla produzione e trasformazione di derrate alimentari, nonché alla cura del suolo e del paesaggio. Sarebbe vietata anche l’importazione di beni alimentari per la cui produzione sono stati impiegati pestidici sintetici. 

L’iniziativa popolare per acqua potabile pulita e cibo sano non vieta i pesticidi. Chiede però di escludere dai pagamenti diretti gli agricoltori che ne fanno uso, che non nutrono i loro animali con il foraggio che loro stessi producono e che impiegano antibiotici regolarmente e a titolo profilattico. Gli agricoltori avrebbero 8 anni di tempo per adeguarsi.

 

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