Svizzera

L’alba dei Bilaterali e quelle riunioni alle 6

L’avvocato Michele Rossi e Stefania Verzasconi, già collaboratrice di Flavio Cotti, ricordano la figura dell’ex consigliere federale scomparso oggi.

Nel 1990
(Keystone)
16 dicembre 2020
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«Era un capo molto esigente, una persona che lavorava tantissimo». Così l’avvocato Michele Rossi ricorda Flavio Cotti. Delegato per le relazioni esterne della Camera di commercio ticinese, negli anni Novanta Rossi trascorse due anni all’ambasciata svizzera di Madrid e cinque all’Ufficio dell’integrazione europea, l’organismo del Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) che coordinava i primi negoziati con l’Unione europea dopo il ‘no’ popolare allo Spazio economico europeo (5 dicembre 1992). «Cotti – racconta Rossi a ‘laRegione’ – aveva buoni contatti sul piano diplomatico. I negoziati sui Bilaterali I si sono conclusi nel giugno del 1999. I rapporti personali tra Cotti e l’allora primo ministro lussemburghese Jean-Paul Juncker, che si conoscevano da tempo, hanno sicuramente facilitato lo sblocco di alcuni nodi politici, ciò che poi ha permesso di firmare gli accordi». Rossi in quegli anni faceva parte della delegazione che negoziò l’Accordo sulla libera circolazione delle persone. «Oggi parliamo dei Bilaterali come se fosse un diritto averli. Ma nel 1993 non si parlava ancora di Bilaterali, e non si sapeva dove saremmo andati a finire: era un’avventura mai tentata da nessuno. Sotto l’egida di Flavio Cotti siamo riusciti, sei anni più tardi, ad arrivare a questo traguardo». Tra gli altri meriti dell’allora ‘ministro’ degli esteri, l’ex diplomatico momò menziona la presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), nel 1996. Quell’anno di presidenza coincise tra l’altro con l’attuazione degli accordi di pace di Dayton (che misero fine alla guerra civile nell’ex Iugoslavia), le prime elezioni in Bosnia e gli sforzi di pace nel Caucaso.

Stefania Verzasconi, oggi responsabile delle relazioni esterne della Rsi, trascorse quattro anni al fianco di Flavio Cotti. Ha fatto parte dello staff del consigliere federale dal 1995 al 1999. Alla sua prima esperienza professionale, si occupava della preparazione delle sedute del Consiglio federale e di diversi dossier, tra i quali i rapporti con i media e la promozione dell’italianità nell’amministrazione federale. Ricorda il suo capo come una persona «estremamente esigente con se stesso e con gli altri». «Spesso, il giorno della seduta del Consiglio federale, avevamo delle riunioni alle 6 del mattino. Voleva dire essere in ufficio come minimo alle 5.30. Ed essere svegli. Perché lui – che era già lì da un po’ – aveva questa intelligenza viva, questa rapidità impressionante. In pochissimo tempo riusciva a identificare il nocciolo della questione, le criticità principali dei vari temi. Era davvero un animale politico». Le giornate erano lunghe. «Noi uscivamo a bere un caffè dopo il ‘briefing’ delle 6, lui andava avanti, spesso quasi ininterrottamente fino alle 22. E il giorno dopo la stessa cosa. Il tempo a disposizione era pochissimo. Spesso dovevamo discutere con lui rincorrendolo nei corridoi di Palazzo federale, perché aveva l’agenda piena e magari doveva correre per andare a prendere un aereo». Stefania Verzasconi ha trascorso un anno circa anche con il successore di Cotti, Joseph Deiss. Era rimasta l’unica italofona nello Stato maggiore del Dfae. «“Lei dev’essere la mia coscienza italofona”, mi disse Deiss al primo incontro che ebbi con lui, consapevole di aver preso il posto dell’unico rappresentante della Svizzera italiana nel Consiglio federale».

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