L'Autorità di vigilanza sul Ministero pubblico vuole chiarire se esso ha seguito le regole nel caso della denuncia del ministro dell'interno
Un'inchiesta è stata aperta allo scopo di "chiarire la condotta del Ministero pubblico della Confederazione in questa vicenda", ha indicato il responsabile della segreteria dell'AV-MPC in una risposta al quotidiano vodese "24 Heures", di cui l'agenzia Keystone-ATS possiede una copia.
È attualmente difficile prevedere il tempo che occorrerà per ottenere i risultati dell'inchiesta, si legge sul sito internet di "24 Heures".
I chiarimenti dell'Autorità di vigilanza sono attesi con ansia anche dalla sottocommissione "Tribunali/MPC" delle Commissioni della gestione delle Camere federali. Dopo tali chiarimenti verrà deciso se sarà il caso di agire, ha dichiarato a Keystone-ATS la consigliera nazionale e presidente della sottocommissione Manuela Weichelt-Picard (Verdi/ZG). L'ecologista zughese ha peraltro confermato le informazioni diffuse oggi da "24 Heures".
Nel dicembre del 2019 Alain Berset è stato vittima di un tentativo di estorsione da parte di una donna. Il consigliere federale ha sporto denuncia al Ministero pubblico della Confederazione. Ciò ha portato a un arresto e all'apertura di un procedimento penale, conclusosi con una condanna definitiva lo scorso settembre.
Il caso è stato reso pubblico nel fine settimana dalla "Weltwoche" ed è stato confermato dallo stesso MPC. Stando a un decreto d'accusa risalente al 14 settembre 2020, la donna ha minacciato Berset di divulgare foto e corrispondenza privata tra lei e il ministro. In cambio voleva 100'000 franchi. Berset ha sporto denuncia e la donna è stata arrestata il 13 dicembre 2019.
Il giorno prima, la stessa ha inviato una lettera al consigliere federale nella quale affermava che ritirava la sua richiesta di 100'000 franchi e che la sua accusa non corrispondeva alla realtà. Restituiva inoltre gli originali dei documenti che gli aveva inviato per e-mail.
Secondo il MPC, questa rinuncia giustifica una riduzione della pena. La donna ha firmato una dichiarazione lo scorso giugno con la quale accettava di far cancellare completamente tutti i dati dagli apparecchi da lei usati.
È stata condannata per tentata d'estorsione a una pena pecuniaria di 150 aliquote giornaliere da 30 franchi, pari a 4500 franchi, sospesa per due anni. Deve inoltre pagare una multa di 900 franchi. Il decreto d'accusa è esecutivo.
A suo carico anche le spese procedurali (2500 franchi) e legali (7615 franchi). Entrambe le parti hanno chiesto congiuntamente che il contenuto delle accuse sia tenuto segreto per questioni di privacy.
La cancellazione dei dati sui computer dell'autrice è una prassi del tutto legittima e assolutamente normale. Così come l'arma del delitto viene confiscata nel caso di un crimine violento o gli stupefacenti nei casi di droga, in vicende di questo tipo i dati vengono cancellati, ha indicato ieri all'agenzia Keystone-ATS l'Ufficio federale di polizia (Fedpol), in qualità di autorità esecutiva dell'MPC.
Secondo il Codice di procedura penale, l'MPC può ordinare il sequestro, la confisca o la distruzione - in questo caso la cancellazione - degli oggetti che sono stati utilizzati per commettere un reato. Fedpol ha precisato che i dati sono stati eliminati dai supporti solo quando non erano più rilevanti ai fini del procedimento.