Svizzera

Tentata estorsione a Berset, inchiesta sul ruolo dell'Mpc

L'Autorità di vigilanza sul Ministero pubblico vuole chiarire se esso ha seguito le regole nel caso della denuncia del ministro dell'interno

(Keystone)
23 novembre 2020
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Un'inchiesta è stata aperta allo scopo di "chiarire la condotta del Ministero pubblico della Confederazione in questa vicenda", ha indicato il responsabile della segreteria dell'AV-MPC in una risposta al quotidiano vodese "24 Heures", di cui l'agenzia Keystone-ATS possiede una copia.

È attualmente difficile prevedere il tempo che occorrerà per ottenere i risultati dell'inchiesta, si legge sul sito internet di "24 Heures".

I chiarimenti dell'Autorità di vigilanza sono attesi con ansia anche dalla sottocommissione "Tribunali/MPC" delle Commissioni della gestione delle Camere federali. Dopo tali chiarimenti verrà deciso se sarà il caso di agire, ha dichiarato a Keystone-ATS la consigliera nazionale e presidente della sottocommissione Manuela Weichelt-Picard (Verdi/ZG). L'ecologista zughese ha peraltro confermato le informazioni diffuse oggi da "24 Heures".

La vicenda

Nel dicembre del 2019 Alain Berset è stato vittima di un tentativo di estorsione da parte di una donna. Il consigliere federale ha sporto denuncia al Ministero pubblico della Confederazione. Ciò ha portato a un arresto e all'apertura di un procedimento penale, conclusosi con una condanna definitiva lo scorso settembre.

Il caso è stato reso pubblico nel fine settimana dalla "Weltwoche" ed è stato confermato dallo stesso MPC. Stando a un decreto d'accusa risalente al 14 settembre 2020, la donna ha minacciato Berset di divulgare foto e corrispondenza privata tra lei e il ministro. In cambio voleva 100'000 franchi. Berset ha sporto denuncia e la donna è stata arrestata il 13 dicembre 2019.

Il giorno prima, la stessa ha inviato una lettera al consigliere federale nella quale affermava che ritirava la sua richiesta di 100'000 franchi e che la sua accusa non corrispondeva alla realtà. Restituiva inoltre gli originali dei documenti che gli aveva inviato per e-mail.

Secondo il MPC, questa rinuncia giustifica una riduzione della pena. La donna ha firmato una dichiarazione lo scorso giugno con la quale accettava di far cancellare completamente tutti i dati dagli apparecchi da lei usati.

È stata condannata per tentata d'estorsione a una pena pecuniaria di 150 aliquote giornaliere da 30 franchi, pari a 4500 franchi, sospesa per due anni. Deve inoltre pagare una multa di 900 franchi. Il decreto d'accusa è esecutivo.

A suo carico anche le spese procedurali (2500 franchi) e legali (7615 franchi). Entrambe le parti hanno chiesto congiuntamente che il contenuto delle accuse sia tenuto segreto per questioni di privacy.

Cancellazione dati, prassi legittima

La cancellazione dei dati sui computer dell'autrice è una prassi del tutto legittima e assolutamente normale. Così come l'arma del delitto viene confiscata nel caso di un crimine violento o gli stupefacenti nei casi di droga, in vicende di questo tipo i dati vengono cancellati, ha indicato ieri all'agenzia Keystone-ATS l'Ufficio federale di polizia (Fedpol), in qualità di autorità esecutiva dell'MPC.

Secondo il Codice di procedura penale, l'MPC può ordinare il sequestro, la confisca o la distruzione - in questo caso la cancellazione - degli oggetti che sono stati utilizzati per commettere un reato. Fedpol ha precisato che i dati sono stati eliminati dai supporti solo quando non erano più rilevanti ai fini del procedimento.

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