Domande e risposte su uno dei due oggetti in votazione il 9 febbraio: il mercato dell’alloggio deve regolarsi da solo oppure è necessario un argine pubblico?
Qual è l’obiettivo dell’iniziativa?
Ampliare l’offerta di alloggi a prezzi accessibili, grazie a un intervento (pubblico) più incisivo dello Stato sul (libero) mercato immobiliare.
Perché si vota?
L’iniziativa dell’Associazione svizzera inquilini (vedi infografica) ha raccolto le 100mila firme necessarie. Consiglio federale e Parlamento (Nazionale: 143 voti contro 54; Stati: 31 contro 12) l’hanno respinta. Su proposta del primo, il secondo ha però approvato un controprogetto indiretto: un aumento di 250 milioni di franchi su 10 anni della dotazione del fondo di rotazione (vedi sotto). Il fondo verrà rimpinguato solo se l’iniziativa sarà respinta. I promotori hanno giudicato insufficiente la misura e non hanno ritirato il loro testo. Per questo si va a votare.
Non ci sono abbastanza alloggi a prezzi accessibili in Svizzera?
In Svizzera quattro alloggi su dieci sono offerti sul mercato locativo a un prezzo conveniente, stando a una stima dell’agenzia Wüest Partner (‘SonntagsZeitung’, 19.1.2020). Le differenze regionali, però, sono notevoli. Nei grossi centri – indica l’analisi della società di consulenza specializzata – la percentuale si dimezza (ma non ovunque: Basilea e Berna, ad esempio, sono su per giù nella media); nelle zone periferiche, invece, supera anche di molto la media nazionale.
Allora perché l’Associazione svizzera inquilini (Asi) ha lanciato l’iniziativa?
Lo ha fatto nel 2015, quando in alcune regioni l’offerta di alloggi in affitto era diminuita e le pigioni in parte fortemente aumentate. L’associazione sostiene che da allora la situazione non sia mutata. L’indice degli affitti dell’Ufficio federale di statistica è cresciuto anche nel 2019, e dal 2005 – malgrado un calo dei tassi d’interesse e l’incremento del numero di alloggi vuoti – le pigioni sono cresciute in media del 19%. La causa: “l’ingordigia degli speculatori”. D’altro canto, ricorda l’Asi, l’alloggio è un bisogno fondamentale dell’essere umano e la pigione la maggiore voce di spesa nel bilancio di una famiglia. Quelle del ceto medio o con scarso potere d’acquisto faticano tuttora a trovare un’abitazione alla loro portata. Lo ammette pure il Consiglio federale: “Soprattutto nelle aree urbane può essere ancora difficile trovare un alloggio corrispondente alle proprie possibilità finanziarie”.
Penuria di alloggi: come stanno le cose?
Il boom edilizio è sotto gli occhi di tutti. Ogni anno, complici i tassi negativi che spingono in particolare casse pensioni e altri investitori istituzionali a puntare massicciamente sul mattone, vengono costruiti in Svizzera 50mila nuovi alloggi. Nel complesso, quindi, non c’è penuria. Anzi: il tasso di ‘sfitto’ non cessa di crescere dal 2016 (siamo all’1,66%, in Ticino al 2,29%), e il numero di abitazioni vuote (soprattutto in affitto) è più che raddoppiato dal 2009. In teoria, una tale eccedenza nell’offerta – non riscontrabile tuttavia in città come Zurigo, Basilea o Ginevra, così come in molti agglomerati urbani – dovrebbe spingere al ribasso gli affitti.
Affitti: come stanno le cose?
L’Asi, come detto, non vede alcun segnale di distensione. Società specializzate, banche e Ufficio federale delle abitazioni invece sì. Affermano che la situazione non è più quella che ha fatto da sfondo al lancio dell’iniziativa. Dopo circa un decennio al rialzo (ovunque, ma soprattutto nelle città, negli agglomerati urbani e nelle zone turistiche), dal 2016 le pigioni medie per gli alloggi nuovi o riaffittati – anche per quelli nel segmento di prezzo inferiore – sarebbero in discesa. La tendenza sarebbe destinata a consolidarsi: l’elevato tasso di sfitto e l’attività edilizia che non accenna a scemare, infatti, consigliano prudenza ai proprietari, che se vorranno trovare nuovi inquilini o tenersi stretti quelli che hanno già, dovranno offrire affitti un po’ più convenienti.
L’iniziativa inciderebbe sul livello generale degli affitti?
No, almeno non direttamente. Il mercato immobiliare continuerebbe a essere retto dalla legge dell’offerta e della domanda: sarebbe sempre questa a determinare il livello generale degli affitti, anche in caso di ‘sì’ all’iniziativa. L’Asi tuttavia spera che, rosicchiando agli “speculatori” una fetta maggiore del mercato, si crei una dinamica virtuosa. L’effetto auspicato: una quota più elevata di alloggi a prezzi accessibili e garantiti farà indirettamente da calmiere sulle pigioni. Il segmento delle abitazioni di utilità pubblica rappresenta però una parte esigua del mercato: anche se dovesse raggiungere il 10%, non sono da attendersi ripercussioni di rilievo sulle pigioni degli alloggi convenzionali (il 90% restante).
‘Abitazioni di utilità pubblica’: cosa sono?
Appartamenti costruiti da cooperative abitative, comuni, fondazioni, ma anche società anonime. Sono detti di utilità pubblica poiché i committenti non traggono profitti dalla locazione. L’affitto è commisurato ai costi effettivi, compresi accantonamenti e ammortamenti: è quindi molto più basso (in media del 20% circa) rispetto alle pigioni di mercato. La quota di alloggi di utilità pubblica si situa oggi tra il 4 e il 5%. In alcune città, come a Zurigo (27%), è molto più elevata. Le cooperative abitative sono all’incirca 2mila in tutta la Svizzera: possiedono buona parte delle 185mila abitazioni di utilità pubblica esistenti.
Ma il mercato immobiliare non è appannaggio dei privati?
Sì, in massima parte. E tale dovrebbe restare, a detta di chi denuncia “il socialismo abitativo” (“veleno” per il mercato) di cui l’iniziativa sarebbe portatrice. La Costituzione federale, tuttavia, stipula che “a complemento della responsabilità e dell’iniziativa private”, Confederazione e cantoni “si adoperano affinché (...) ognuno possa trovare, per sé stesso e per la sua famiglia, un’abitazione adeguata e a condizioni sopportabili”. In effetti, una politica pubblica dell’alloggio esiste da tempo anche in Svizzera: è stata sin qui per lo più prerogativa di cantoni e città, che operano essenzialmente attraverso aiuti individuali mirati a favore delle fasce della popolazione meno abbienti, mutui e fideiussioni.
Cosa fa la Confederazione in quest’ambito?
Ha istituito un fondo di rotazione, attraverso il quale ai committenti di utilità pubblica vengono concessi prestiti agevolati per costruire o rinnovare abitazioni di questo tipo. Garantisce inoltre i prestiti della Centrale di emissione per la costruzione di abitazioni di utilità pubblica, che consente ai suoi soci di ottenere capitali a lungo termine a tassi favorevoli. Infine, concede fideiussioni al regresso alla cooperativa di fideiussione ipotecaria delle società svizzere per la costruzione di abitazioni, facilitando il finanziamento di alloggi a tassi d’interesse preferenziali.
Il fondo di rotazione non basta?
No, afferma l’Asi. La prova: la quota di abitazioni di utilità pubblica sul totale degli alloggi è in calo da anni. Se si vuole invertire la tendenza, 250 milioni di franchi in più non bastano. Il fondo di rotazione ha dato buona prova di sé, replicano i contrari all’iniziativa. Ha permesso sin qui la costruzione o il rinnovo di 1’500 abitazioni all’anno in media. Iniettandovi 250 milioni su un decennio, si riuscirebbe a mantenere l’attuale quota di alloggi di utilità pubblica sul mercato. Ci vorrebbero invece altri 120 milioni l’anno (ma la cifra è contestata dai fautori del ‘sì’) per raggiungere la quota del 10% richiesta dall’iniziativa.
L’iniziativa è ‘rigida’ o ‘flessibile’?
“Rigida”, perché vuole fissare nella Costituzione una precisa quota di alloggi di pubblica utilità, valida a livello nazionale, anche laddove non ve ne sarebbe la necessità, senza riguardi per l’effettivo e diversificato fabbisogno di cantoni e comuni. Così la giudicano i contrari, che oltretutto temono maggiori oneri burocratici e un effetto disincentivante sugli investitori privati nel settore immobiliare. L’Asi la vede in tutt’altro modo. Afferma che la quota del 10% è da intendersi quale soglia minima valida per l’intera Svizzera, non per ogni comune o cantone: non si applicherà, ad esempio, in quei comuni o cantoni dove già esiste una sovrabbondanza di alloggi a prezzi accessibili. Sarà compito del Parlamento, se l’iniziativa verrà accolta, elaborare una legge d’applicazione sufficientemente flessibile.
Perché l’iniziativa prevede anche un diritto di prelazione per comuni e cantoni?
Il problema è questo: per raggiungere la quota del 10%, bisognerebbe raddoppiare – dalle attuali 2’500 a 5mila – il numero di abitazioni di utilità pubblica costruite ogni anno. Ebbene, i terreni edificabili (a prezzi non esorbitanti) scarseggiano: si stanno facendo merce rara in particolare nelle città e negli agglomerati, ossia proprio laddove c’è penuria di abitazioni a prezzi accessibili. “La mancanza di terreni edificabili è il più grande ostacolo a una maggiore edificazione da parte delle cooperative d’abitazione”, scrive l’Asi. Da qui l’idea di sottrarre al libero mercato questi preziosi fondi, spesso venduti dai privati, dalle Ffs o da altri a investitori che vi costruiscono immobili residenziali o commerciali di lusso. Grazie a un diritto di prelazione, comuni e cantoni avrebbero la possibilità – ogni volta che un simile terreno viene messo in vendita – di decidere se entrarne in possesso o no e se promuovervi la costruzione di alloggi di utilità pubblica. Chi combatte l’iniziativa sostiene che il diritto di prelazione impedirebbe la realizzazione di progetti importanti per la popolazione e l’economia.
Cosa c’entra l’iniziativa con la protezione del clima?
Poco, a prima vista. Ma il collegamento con questione del momento non poteva mancare. Chi vive in alloggi di utilità pubblica – argomenta l’Asi – utilizza in media meno superficie abitabile di chi abita in appartamenti ‘convenzionali’, contribuendo quindi a un uso parsimonioso del territorio. Inoltre, grazie a un utilizzo più mirato dei sussidi, i risanamenti energetici verrebbero incoraggiati. Per i contrari, l’iniziativa avrebbe invece effetti controproducenti sul piano climatico. I risanamenti verrebbero disincentivati: vietando qualsiasi aumento degli affitti in questi casi, i proprietari potrebbero rinunciare a realizzarli, oppure realizzarli comunque – parzialmente o completamente – rinunciando alle sovvenzioni, ma ribaltandone i costi sugli inquilini.
Chi sostiene l’iniziativa? Chi la combatte?
È sinistra contro destra. A favore sono schierati Ps, Verdi e Partito del lavoro, così come le organizzazioni mantello dei sindacati (Uss e Travail.Suisse), la maggiore organizzazione mantello dei committenti di immobili d’utilità pubblica e Caritas. Tutti gli altri partiti, il Consiglio federale, le organizzazioni economiche, quelle dei proprietari fondiari e del settore immobiliare raccomandano di respingerla. L’Unione delle città svizzere lascia libertà di voto.
L’iniziativa verrà approvata?
Ha poche chance, sulla carta. Solo la sinistra la sostiene. I partiti borghesi sono compatti nel denigrarla. E poi l’asticella è posta in alto: trattandosi di una modifica costituzionale, non basta la maggioranza del popolo, serve anche quella dei cantoni. Finora però i sondaggi confortano i promotori e i loro alleati. Quello pubblicato dalla Ssr a metà dicembre (margine d’errore: +/-2,9%) dava il ‘sì’ al 66%. Stando all’ultimo rilevamento di Tamedia (9-11 gennaio, margine d’errore: +/-1,5%), l’iniziativa raccoglierebbe il 60% di pareri favorevoli (‘no’: 37%) e sarebbe dunque in leggera perdita di velocità. Più marcato che altrove il sostegno in Ticino e nelle città. Solitamente, però, le iniziative popolari perdono consensi man mano che la votazione s’avvicina.