Svizzera

Come sta l'italiano a Berna? Atteso il rapporto sul plurilinguismo

A colloquio con Marco Romano, consigliere nazionale Ppd e copresidente dell’intergruppo parlamentare ‘italianità’, che sente 'una resistenza di fondo'

Questioni di lingua
19 dicembre 2019
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Marco Romano, nei primi tre anni della passata legislatura, l’1% delle prese di parola al Nazionale sono state fatte in italiano. Nel 2019, anno della presidente Marina Carobbio, siamo al 2,5%. Cosa succederà nel 2020?
Credo che torneremo all’1%. Questo è stato un anno straordinario. Le sedute erano gestite in italiano. E ciò ha spinto alcuni colleghi a prendere la parola nella nostra lingua. D’altro canto, noi ticinesi abbiamo continuato ad essere rigorosissimi, usando sempre l’italiano quando eravamo relatori di una commissione o parlavamo a nome dei rispettivi gruppi. È fondamentale che noi italofoni ci esprimiamo nella lingua madre. Bisogna far capire che non è nulla di straordinario sentir parlare italiano al Nazionale.

E dal 2020?
Nel 2020 le sedute saranno gestite in francese, quindi meno tedescofoni e francofoni si esprimeranno in italiano. Cercheremo per quanto possibile di stimolare i colleghi a farlo, ma non sarà facile. Il Parlamento è stato rinnovato per un terzo, non sappiamo ancora quanti dei ‘nuovi’ parlano italiano. Anche a loro ci rivolgeremo.

In 13 delle nuove commissioni extra-parlamentari non siede alcun italofono. Lunedì ha chiesto al Consiglio federale se “bistratta nuovamente la pluralità linguistica”. La risposta del Governo l’ha soddisfatta?
Assolutamente no. Dopo tutto quel che è stato fatto in questi anni, dopo l’elezione di Ignazio Cassis in Consiglio federale, dopo che i segretari generali dei vari dipartimenti hanno ribadito l’attenzione verso il tema, avere commissioni extra-parlamentari senza italofoni è un fallimento del sistema. Per questo rilancio la questione con un’interpellanza depositata proprio oggi.

Il Consiglio federale se ne “rammarica”, ma a sua discolpa dice che in Romandia e nella Svizzera italiana “è talvolta molto difficile, se non impossibile, trovare gli esperti di cui si necessita”. Non ha ragione?
Mi sembra una scusa. Sappiamo bene che sono i presidenti e i segretariati delle varie commissioni, oltre che i segretariati generali dei dipartimenti, a cercare i candidati. Tendenzialmente vi è una cooptazione: il partente suggerisce il suo successore. Qui a mio avviso non si fa lo sforzo necessario per cercare esperti di cui anche la Svizzera italiana dispone. Sappiamo di candidature provenienti dalla nostra regione che vengono messe sul tavolo e poi scartate con scuse di vario genere. La Berna federale e i cantoni circostanti la fanno da padrone in quest’ambito.

Consiglio nazionale, commissioni extra-parlamentari: vede anche altrove la necessità di agire?
Segnali positivi giungono dal Dipartimento federale degli affari esteri. Funzionari ai piani medio-bassi mi dicono che l’italiano, da quando è arrivato Ignazio Cassis, è in auge: il suo utilizzo ora viene quasi richiesto. Vi sono però ancora dipartimenti – come quelli delle finanze di Ueli Maurer e dell’economia di Guy Parmelin – dove l’italiano resta marginale, fatica a farsi strada.

È atteso per domani il rapporto sul plurilinguismo della Delegata federale Nicoletta Mariolini. Cosa s’aspetta?
Mi secca il ritardo con cui il rapporto, atteso per quest’estate, viene presentato. La sensazione è che alla Delegata sia stata complicata la vita nella sua stesura. E le prime indicazioni ricevute non mi tranquillizzano. Sembra prevalga una forza centrifuga, alimentata dai segretari generali: ogni dipartimento faccia per sé. Percepisco una resistenza di fondo da parte della componente tedescofona a riconoscere il valore di un’amministrazione federale plurilingue. Non a caso ai suoi vertici il numero di italofoni è diminuito. E sappiamo anche che i neolaureati di lingua madre italiana che si candidano per uno stage, in certi dipartimenti vengono scartati a priori.

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