Svizzera

Sempre più disinformati

Secondo l’ultimo annuario sulla qualità dei media servono misure statali ed extrastatali a sostegno del giornalismo d’informazione professionale

14 ottobre 2019
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Sono sempre di più le persone praticamente non informate: i cosiddetti ‘deprivati delle notizie’ sono cresciuti del 15% dal 2009 al 2019 e sono ora il 36%. Fra i giovani tra i 16 e i 29 anni, tale quota raggiunge addirittura il 56%. È uno dei risultati che emerge dal nuovo annuario sulla ‘Qualità dei media’ pubblicato ieri, nel quale gli autori sottolineano che questa tendenza mette in pericolo la democrazia. È quindi necessario un nuovo “patriottismo a favore dei media”.
A preoccupare gli esperti non è soltanto l’aumento considerevole di coloro che  “consumano informazioni in maniera nettamente inferiore alla media”, ma anche l’incremento dei cosiddetti ‘navigatori globali di internet’. Questi ultimi non sono disinformati, ma “affrontano in maniera insufficiente la cronaca regionale e nazionale”, si legge nello studio. Informasi su ciò che succede nel nostro Paese è però “indispensabile” per poter “esercitare i diritti democratici o partecipare alla vita pubblica”.

Questa tendenza può essere ricondotta all’evoluzione nell’ambito dell’utilizzo dei diversi canali informativi: la quota di chi si informa con i giornali cartacei in abbonamento è scesa dal 56% di dieci anni fa al 32% nel 2019 (tendenza in calo anche per radio e tv), mentre il tasso di coloro che si informano online è cresciuto dal 52 al 61%. Il canale d’informazione più diffuso sono i social media, utilizzati dal 70% della popolazione.
Tuttavia, questi ultimi non sono ritenuti affidabili: solo il 17% si fida delle notizie diffuse attraverso, ad esempio, Facebook, Twitter o Instagram. I mezzi di informazione tradizionali godono invece di notevole considerazione (47%) in Svizzera, che è anche il paese con il tasso più alto fra le 38 nazioni analizzate. E questo è ritenuto un “risultato interessante” dagli autori. Insomma, malgrado vi sia un aumento dell’utilizzo dei social media, vi è anche una diminuzione della fiducia nei confronti di queste piattaforme.

L’annuario conferma poi un’altra tendenza che mette, almeno in parte, in difficoltà il giornalismo professionale: nel 2019 solo l’11% è infatti disposto a pagare per le notizie online. A ciò si aggiunge anche la diminuzione delle entrate pubblicitarie, che affluiscono sempre più nei social media o nei motori di ricerca: nel 2017 Google si è assicurata il 67% di tutta la pubblicità incassando 1,4 miliardi, una somma di gran lunga superiore all’insieme di tutti i media svizzeri. Questo indebolimento a livello finanziario del giornalismo professionale ha portato a una sempre maggiore concentrazione degli organi di informazione nelle mani di pochi grandi gruppi. Anche se la qualità delle notizie e la professionalità dei giornalisti in Svizzera rimangono a livelli elevati, la conseguenza di tale processo è la diminuzione del lavoro di contestualizzazione delle informazioni e l’aumento delle “notizie leggere”.

I ricercatori dell’istituto Fög, dell’università di Zurigo, giungono dunque alla conclusione che le piattaforme online indeboliscono il giornalismo d’informazione professionale svizzero. Quest’ultimo è però “indispensabile” per una società democratica come la nostra. Servono quindi “giornalisti che dispongono di sufficienti risorse e competenze” per poter offrire al pubblico “contenuti di valore”. Come raggiungere tale obiettivo? Con un “nuovo patriottismo a favore dei media”, suggeriscono gli autori dell’annuario: è quindi necessario sostenere i mezzi di informazione locali attraverso misure statali ed extrastatali. Nel primo caso, lo studio cita ad esempio “un’imposta sugli introiti pubblicitari che le piattaforme tecnologiche generano attraverso contenuti giornalistici”. Lo Stato dovrebbe anche “ampliare la promozione diretta dei media”, stanziando sovvenzioni come già accade per diverse emittenti radiotelevisive private. Per quanto riguarda le misure non statali, secondo gli esperti occorrerebbe “intensificare la cooperazione  tra le organizzazioni operanti nel settore dei media”: l’idea è quella di “una struttura digitale” per il giornalismo d’informazione professionale che non metta in discussione la concorrenza, “condizione imprescindibile per un dibattito illuminato e pluralistico”.

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