Svizzera

Ascesa e declino dei piccoli partiti

Quali le condizioni della longevità dei partiti ‘minori’ sul piano nazionale? L’analisi di Georg Lutz, politologo dell'Università di Losanna.

(Keystone)
25 aprile 2019
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Anello degli indipendenti, Partito degli automobilisti, Poch, Repubblicani, Partito liberale svizzero, Democratici svizzeri. Nel secolo scorso i piccoli partiti (qui parliamo soltanto di quelli non a vocazione regionalista, circoscritti a un solo cantone, del tipo Lega dei Ticinesi o Mouvement Citoyens Genevois) sono stati una presenza pressoché costante sul piano nazionale. Hanno racimolato a più riprese qualche seggio al Consiglio nazionale, e alcuni di loro lo hanno conservato per diverse legislature. Nel caso dell’Anello degli indipendenti, poi, Monika Weber riuscì persino a entrare nell’esclusivo Consiglio degli Stati (era il 1987). All’ascesa, spesso folgorante, di queste formazioni ha fatto seguito un più o meno rapido declino, in molti casi sfociato nell’estinzione vera e propria, in altri nel riassorbimento da parte di un altro partito, loro fratello maggiore. Insomma: i grandi restano, i piccoli vanno e vengono.

In generale, i sistemi elettorali in Svizzera «sono molto aperti»: «non bisogna per forza essere un grande partito per ottenere un seggio» al Consiglio nazionale o nei legislativi cantonali. Questa apertura – spiega a ‘laRegione’ Georg Lutz, polilitologo all’Università di Losanna – favorisce in linea di massima la pluralità, l’emergere di piccoli partiti e il loro successo. Ma non ne garantisce di certo la perennità. «In passato sono stati di più i piccoli partiti che sono scomparsi – o che si sono uniti ad altri – di quelli che sono sopravvissuti a lungo», rileva Lutz.

Tra i ‘sopravvissuti’ vi è il Partito evangelico svizzero (Pev): fondato un secolo fa, dagli anni 70 ha una percentuale di voto stabile (attorno al 2%) ed è arrivato ad avere tre consiglieri nazionali (nel 2007; attualmente sono due, la bernese Marianne Streiff e il zurighese Nik Gugger), record che conta di bissare alle ‘federali’ di ottobre. Altre piccole formazioni non hanno potuto o non possono contare su uno zoccolo duro di fedelissimi, consolidatosi nel tempo, come il Pev, che «occupa una nicchia con un elettorato molto specifico».

E il Pbd? Nato poco più di dieci anni fa da una scissione dell’Udc a seguito della turbolenta estromissione di Christoph Blocher dal Consiglio federale, il Partito borghese-democratico presieduto da Martin Landolt vive secondo diversi politici e osservatori “l’anno del destino”. L’erosione di consensi e seggi nei cantoni è andata avanti (è addirittura scomparso dai legislativi a Zurigo e Basilea-Campagna). Alle ‘federali’ di ottobre, a meno di congiunzioni di liste favorevoli, potrebbe non più riuscire a fare gruppo (5 deputati) al Consiglio nazionale.

Perché un piccolo partito presente in più di un cantone duri sul piano nazionale, bisogna che alcune condizioni siano riunite. Anzitutto, disporre di soldi e «persone che lavorano quotidianamente per il partito sul piano nazionale, cantonale e comunale», spiega Georg Lutz. Per una formazione da anni in declino, come il Pbd, da questo punto di vista «c’è il rischio di una spirale verso il basso».

In secondo luogo, serve «un profilo politico unico»: il Pbd ne è sprovvisto e le persone non riescono ad associare il partito a uno o più temi specifici, osserva Georg Lutz. Altra condizione: disporre di eletti che godono di buona visibilità. «Dopo l’uscita di scena di Evelyne Widmer-Schlumpf, al Pbd – sempre più ignorato dai media – sono rimaste pochissime personalità note. Alcune di loro però non si ripresentano in ottobre. E le nuove leve non hanno molta visibilità», conclude il politologo.

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