Svizzera

Materiale bellico venduto all'estero, la Seco contrattacca

Per voce della direttrice, la Segreteria di Stato dell'economia critica il rapporto del Controllo federale delle finanze

(Ti-Press)
14 settembre 2018
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La direttrice della Segreteria di Stato dell'economia (Seco), Marie-Gabrielle Ineichen-Fleisch, è scesa oggi in campo e contrattacca in merito a varie controversie riguardanti l'esportazione di materiale bellico elvetico. Sostiene che i presunti armamenti dispersi in Messico e Brasile sono perfettamente conosciuti; le granate apparse in Siria e Libia sono una vicenda vecchia di sei anni e debitamente chiarita; e infine, il Controllo federale delle finanze (Cdf) non fornisce informazioni complete.

In un rapporto pubblicato una decina di giorni fa il Cdf sostiene che la regolamentazione in vigore concernente le esportazioni di materiale bellico venga interpretata in modo favorevole all'economia e che possa essere facilmente aggirata. A suo avviso, i servizi della Seco mancano di una sufficiente "distanza critica" nei confronti delle imprese controllate e dei loro lobbisti.

In una intervista concessa al Blick, pubblicata oggi, la segretaria di Stato rimprovera al Cdf una presentazione parziale dei fatti. Prima della stesura definitiva, il documento dell'organo superiore di vigilanza finanziaria della Confederazione è stato oggetto di trattative tra Cdf e Seco. L'autorità di controllo non ha però tenuto conto di tutte le informazioni fornite e richiamate dalla Segreteria di Stato. "È vero che la Seco nel 2017 ha bocciato solo 29 domande d'esportazione per un valore di 17 milioni di franchi. Però viene taciuto che nello stesso periodo sono pervenute molte richieste preliminari a cui non abbiamo dato seguito. Queste avevano un valore di 2,8 miliardi di franchi", ha riferito Ineichen-Fleisch. La 57enne proprio non gradisce il "registro" generale del rapporto, secondo cui la Seco sarebbe vicina all'industria militare. È la Legge federale sul materiale bellico che definisce l'ambito di attività della Seco, sottolinea. All'articolo 1 la norma prevede certo che Berna debba tutelare gli obblighi internazionali e i propri principi di politica estera attraverso controlli, ma anche che "deve poter essere mantenuta, in Svizzera, una capacità industriale adeguata alle esigenze della sua difesa nazionale". La segretaria di Stato spazza via le critiche rivolte al suo Ufficio per l'apparizione di granate svizzere in Siria e Libia, rese note nelle ultime due edizioni del SonntagsBlick. È minestra riscaldata, afferma in sostanza. La vicenda risale al 2012: nel frattempo è stata "chiarita accuratamente e la politica ne ha tratto le dovute conclusioni".

Nella lista di chi negli ultimi tempi ha denunciato la presunte pratiche lassiste c'è anche la televisione svizzero tedesca Srf: una decina di giorni fa, dopo aver messo le mani sul rapporto del Cdf senza gli oscuramenti che caratterizzavano quello presentato dall'autorità di vigilanza, ha rivelato ad esempio che soltanto 113 dei 500 fucili forniti al Messico nel 2015 e solo undici dei 26 mezzi corazzati Piranha venduti al Brasile l'anno prima sono stati rintracciati e controllati. Ineichen-Fleisch smentisce: "La Seco sa dove sono tutte le armi". In merito ai fucili, la segretaria di Stato ammette che i funzionari non hanno visto le armi di prima persona "perché l'ambasciata ci ha indicato che sarebbe stato troppo pericoloso inviare i nostri collaboratori in certe regioni". Ma le autorità messicane hanno fatto pervenire "documentazione fotografica autenticata" su cui sono riconoscibili anche i numeri di serie. Quanto alle esportazioni in Brasile, il Cdf ha omesso di indicare che in occasione del controllo sul posto, buona parte dei carri armati erano impiegati ad Haiti per una missione dell'Onu e pochi altri all'interno del Paese in una missione dell'esercito. La scia di critiche alla Seco emerge in un momento in cui il Consiglio federale vuole modificare l'ordinanza sull'esportazione di materiale bellico. La Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale ha già espresso parere favorevole, mentre la commissione "sorella" del Consiglio degli Stati ha rinunciato a formulare raccomandazioni. La modifica dell'ordinanza consentirebbe alla Svizzera di esportare armi anche verso Paesi teatro di conflitti interni. Questa settimana esponenti di diversi partiti hanno formato un'alleanza per combattere la revisione dell'ordinanza. Si apprestano a lanciare un'iniziativa popolare, chiamata in tedesco "Korrektur-Initiative" ("iniziativa di correzione"). In poche ore ha trovato 25mila persone che si sono dichiarate disposte a raccogliere ciascuna quattro firme.

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