Svizzera

Export armi, il Controllo delle finanze 'bacchetta' la Seco

Il Cdf: bisogna mantenere una distanza critica da imprese e lobbisti. La Segreteria si difende. Amnesty: 'irresponsabile' allentare i criteri.

(Keystone)
3 settembre 2018
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Il Consiglio federale intende allentare ulteriormente le regole per l'export di armi, permettendo le vendite anche verso Paesi alle prese con un conflitto interno. Eppure già oggi, scrive in un rapporto reso noto oggi il Controllo federale delle finanze (Cdf), le aziende belliche sanno sfruttare appieno le lacune della regolamentazione in vigore e possono godere della benevolenza dell'amministrazione. Talvolta manca da parte di quest'ultima una sufficiente distanza critica dalle ditte esportatrici e dai loro lobbisti. Secondo Amnesty International, l’audit del Cdf mostra in modo chiaro che un ulteriore allentamento dell’Ordinanza sul materiale bellico è irresponsabile.

Nel documento, il Cdf si è occupata delle esportazioni di materiale bellico nel 2016, risultate pari a 412 milioni di franchi. Tutto è risultato conforme alle regole.

Ad occuparsi di queste transazione è, a seconda della natura di queste operazioni, la Segreteria di stato dell'economia (Seco), il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) e altri dipartimenti. La Seco, in particolare, decide sulla base della Legge federale sul materiale bellico (Lmb), dell'ordinanza in materia e della prassi interpretativa del Consiglio federale.

Secondo il Cdf, però, le modifiche di ordinanze e la prassi interpretativa (mediante decisioni confidenziali del Consiglio federale che hanno carattere di principio) hanno portato negli ultimi 20 anni a "un'attuazione della Lmb piuttosto favorevole all'economia". Secondo il Cdf, nelle valutazione delle richieste di esportazione, le varie istanze federali che se ne occupano "dovrebbero mantenere una distanza critica dalle imprese monitorate e dai loro lobbisti".

Oltre ad incitare l'amministrazione ad aumentare i controlli, il Controllo federale delle finanze ha notato che le industrie di armamento sono riuscite in alcuni casi ad aggirare i divieti posti dalla Confederazione all'export di determinati prodotti oppure sfruttano appieno le possibilità offerte dalla legislazione.

Seco e Amnesty, due letture diverse

La Seco ha criticato il rapporto, sostenendo che sia stato influenzato da un giudizio politico concernente l'export di materiale bellico e le norme che lo regolano. In una presa di posizione, la Segreteria giudica il rapporto unilaterale e poco differenziato. Inoltre, alcune constatazioni appaiono arbitrarie. La Seco, si legge ancora nella nota, non fa che applicare la volontà del legislatore.

 

Dal canto suo, Amnesty International (Ai) afferma che le prescrizioni legali, le leggi, le ordinanze e le interpretazioni sono eccessivamente lassiste e che l’industria sceglie vie alternative per commercializzare il proprio materiale. 

L'audit del Cdf – sottolinea in una nota Alain Bovard, giurista della Sezione svizzera di Ai – "conferma che le aziende svizzere di armamento sfruttano le lacune e le zone grigie nella legislazione per aggirare la procedura di autorizzazione, così da concludere contratti che dovrebbero essere vietati. Il rapporto mostra inoltre che i controlli dopo la consegna che sono effettuati nei paesi di destinazione sono poco efficaci mentre i controlli effettuati nelle aziende produttrici di armamenti in Svizzera, potenzialmente più efficaci, di fatto sono insufficienti”,  

Amnesty invita tutte le istanze coinvolte – il Consiglio federale, il Parlamento e la stessa Seco – a mettere in atto le misure necessarie affinché siano garantite maggiore sicurezza e una più grande trasparenza sul tema dei trasferimenti di armi. In particolare, il Consiglio federale deve rinunciare al previsto allentamento dell’Ordinanza sul materiale bellico e proporre al contrario delle modifiche legislative che permettano di evitare che le aziende di armamento sfruttino le lacune e le zone grigie presenti per aggirare la legge, come sembrano fare attualmente.

 “Il rispetto dei diritti umani più fondamentali, tra i quali il diritto alla vita, deve avere la priorità sulle considerazioni economiche,” dichiara Bovard.

 

 

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