Svizzera

Immigrazione dimessa

Sempre meno europei vengono in Svizzera per lavoro. E non sostiuiscono i residenti, ribadisce la Seco

3 luglio 2018
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Complice la ripresa congiunturale in Europa, l’anno scorso sono immigrate in Svizzera meno persone dagli Stati Ue/
Aels. È quanto indica il 14esimo rapporto della Segreteria di Stato dell’economia (Seco) circa le ripercussioni dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. Dal documento, pubblicato ieri, risulta che l’immigrazione di lavoratori non è andata a scapito dei residenti e ciò vale per tutte le regioni linguistiche. Ai sindacati però questo non basta.
L’anno scorso, il saldo migratorio nei confronti degli Stati Ue/Aels è stato di 31’250 persone, nettamente al di sotto della media degli ultimi anni (l’11% in meno rispetto al 2016, la metà dell’anno record 2013). Tale evoluzione è da mettere in conto con la ripresa congiunturale in Europa, specie nei Paesi del Sud, in particolare in Portogallo. L’Italia, che ha registrato una ripresa sotto la media, rimane in ogni caso un importante serbatoio di manodopera.
La Seco pronostica un ulteriore rafforzamento della congiuntura in Svizzera e una diminuzione della disoccupazione. Il numero di immigrati non dovrebbe crescere. Da gennaio a maggio 2018, l’immigrazione netta rapportata alla popolazione residente è risultata del 4% inferiore rispetto all’anno scorso. Per questo motivo, gli imprenditori attivi nel nostro Paese dovrebbero far più fatica a reclutare personale dallo spazio Ue.
Secondo il rapporto, l’immigrazione ha permesso di colmare le lacune in manodopera residente, soprattutto per quanto riguarda quella con un livello di formazione elevato. Le analisi dimostrano che gli immigrati svolgono un’attività in linea con la loro formazione superiore e che per questo non sono in concorrenza con i lavoratori residenti senza diploma superiore. Il livello salariale di questo particolare tipo di immigrati si avvicina, se non supera, quello dei lavoratori residenti con titolo accademico. Vi sono tuttavia eccezioni: riduzioni in busta paga sono state constatate tra i lavoratori con diploma terziario provenienti dal sud e dall’est europeo. Negli anni scorsi, però, lo spazio Ue è risultato significativo anche per l’immigrazione di personale con qualifiche più basse, specie dal sud e dall’est dell’Europa. L’economia ha bisogno di queste persone dal momento che gli svizzeri dispongono in media di qualifiche più elevate.


Il direttore dell’Unione svizzera degli imprenditori (Usi), Roland Müller, ha dichiarato in conferenza stampa che – nonostante spesso si sostenga il contrario – il temuto effetto sostitutivo sulla manodopera locale non sussiste. Le persone altamente qualificate che giungono in Svizzera non si offrono a salari inferiori e non sono impiegate in posizioni lavorative non corrispondenti alle loro capacità. Il temuto effetto sostitutivo dunque non esiste «né in Ticino, né in Romandia», ha aggiunto Müller. È pure falsa, a suo avviso, l’idea che gli immigrati, specie dal sud e est Europa, beneficino dell’assistenza poco tempo dopo essere giunti in Svizzera, e ciò benché il rischio di dipendere dalla disoccupazione sia maggiore per questa categoria di persone. 
Nel 2016, il 5,5% delle persone provenienti dall’Ue ha percepito indennità giornaliere. La media a livello nazionale è del 3,3% e per gli svizzeri del 2,4%. Viceversa, la percentuale di persone immigrate nel quadro dell’accordo sulla libera circolazione che nel 2016 hanno percepito prestazioni dell’assistenza sociale (2%) è nettamente inferiore sia alla media complessiva nazionale (3,2%) sia al dato relativo agli svizzeri (2,6%).


Pur non mettendo in dubbio i risultati del rapporto, l’economista dell’Unione sindacale svizzera (Uss), Daniel Lampart, ha sostenuto che il documento non dà abbastanza importanza a ‘distaccati’ e frontalieri. Specie tra i distaccati e i ‘padroncini’ sono stati constatati casi di dumping. Secondo Lampart, un Paese come la Svizzera che offre i salari più elevati d’Europa deve anche disporre delle migliori misure di accompagnamento. La pressione sulle remunerazioni è una realtà. Un controllo su cinque eseguito nel 2017 è risultato problematico da questo punto di vista, ha spiegato. (Ats/red)

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