Svizzera

Consiglio islamico a processo, chieste tre assoluzioni

Al Tribunale penale federale di Bellinzona hanno parlato i difensori dei dirigenti del Consiglio centrale svizzero. La sentenza il 25 maggio

17 maggio 2018
|

La difesa dei tre dirigenti del Consiglio centrale islamico della Svizzera (Ccis) sotto processo da ieri al Tribunale penale
federale (Tpf) di Bellinzona per propaganda terroristica, ha chiesto stamane l'assoluzione dei suoi assistiti. La lettura della
sentenza è prevista per il 25 maggio.

Ieri la procuratrice federale Juliette Noto aveva chiesto per i tre una pena di due anni di carcere con la condizionale, con un
periodo di prova di cinque anni. Secondo i difensori il pubblico ministero non è riuscito a dimostrare che il predicatore saudita Abdallah al-Muhaysini - intervistato in Siria nell'ottobre 2015 da uno degli imputati, Naim Cherni, e mostrato in uno dei due video diffusi dal Ccis che sono al centro di questo processo - fosse davvero un membro di al-Qaida o di un gruppo associato. Ne consegue che non c'è
stata violazione della legge federale che vieta le organizzazioni terroristiche al-Qaida, Stato islamico (Isis) e organizzazioni
associate, come sostenuto dalla pubblica accusa.

I due video contestati rientrano certamente nella categoria del "giornalismo compiacente" e di scarsa qualità, ha concesso
Michael Burkard, avvocato del 26enne tedesco residente a Berna Naim Cherni, "produttore culturale" del Ccis. Egli ha tuttavia
fatto valere per il suo assistito il diritto fondamentale alla libertà di opinione e informazione.

Lorenz Hirni, difensore di Qaasim liii, responsabile della comunicazione del Ccis, ha evidenziato le carenze della legge
federale su cui poggiano le accuse. Essa - ha rilevato - non vieta la jihad, o guerra santa islamica. Dunque - ha aggiunto -
non tutti i gruppi islamisti o jihadisti e la loro propaganda rientrano per forza nel mirino di questa legge in vigore dal primo
gennaio 2015, che prevede il carcere fino a cinque anni o pene pecuniarie per chi fa parte delle organizzazioni terroristiche
vietate o promuove le loro attività. Jihad o salafismo non significano terrore, ha peraltro sottolineato Hirni.

Lukas Burge, difensore del presidente del Ccis Nicholas Biancho, ha sostenuto infine che il Ccis, di cui l'imputato è
presidente, con i due video ha voluto impedire che dei giovani si affiliassero allo Stato islamico. Si è scelto Winterthur per la
prima proiezione dei due video (nel dicembre 2015), proprio in funzione anti-lsis, perché era noto che nella città zurighese
erano stati radicalizzati alcuni giovani. Burge ha poi rilevato che essere contro l'Isis non significa essere a favore di al-Qaida.

La tesi sempre sostenuta dai tre imputati - che hanno però mantenuto il silenzio durante il processo - è che Abdallah alMuhaysini
non sia mai stato un alto rappresentante di al-Qaida o della sua succursale siriana an-Nusra come sostenuto dall'accusa, ma un "costruttore di ponti" tra i vari gruppi ribelli siriani e un attivo oppositore dello Stato islamico. Cherni avrebbe dunque "giudicato appassionante e anche utile nella lotta contro la narrativa" dello stesso Isis una conversazione con lui sulla questione.

I tre avvocati hanno chiesto per i loro assistiti, oltre al proscioglimento, un risarcimento simbolico di 200 franchi e che le spese
giudiziarie vadano a carico dello Stato. Nella sua replica la procuratrice Noto ha ribadito le sue tesi della vigilia sul carattere propagandistico dei due video pubblicizzati sui social media e ha stigmatizzato la "campagna pubblica" del Ccis intesa a rappresentare le autorità elvetiche come islamofobe.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔