Rupperswil

Ergastolo e internamento a vita: la richiesta di pena

Ecco la nostra intervista all'avvocato Carlo Borradori che difende due parenti luganesi delle vittime dell'omicida di Rupperswil

(Keystone)
14 marzo 2018
|

Ergastolo e internamento a vita: questa la pena richiesta dalla pubblica accusa per lo svizzero di 34 anni processato in Argovia per il massacro di Rupperswil del 21 dicembre 2015. I crimini erano premeditati e pianificati nei minimi dettagli, ha affermato la procuratrice pubblica Barbara Loppacher. La fattispecie più grave è il quadruplo assassinio, per la quale si giustifica la detenzione a vita. Tenendo conto dell’alto rischio di recidiva, certificato da due perizie psichiatriche, la procuratrice ha inoltre chiesto la misura dell’internamento a vita e, in subordine, l’internamento ordinario. "Ha ucciso quattro persone senza un motivo – semplicemente perché ne aveva voglia. Dopo aver commesso i crimini non ha avuto alcun rimorso ed è andato alla ricerca di altre vittime. Ha anche sperperato i soldi estorti", ha detto la procuratrice.

Se ci si limitasse all’ergastolo, sarebbe "molto probabile" che l’imputato dopo 15 anni verrebbe rilasciato per buona condotta. Non c’è alcun elemento attenuante, ha sottolineato Loppacher. Tutte le imputazioni avrebbero potuto essere dimostrate anche senza una confessione. La procuratrice ha passato in rassegna tutte le accuse rivolte al 34enne: queste comprendono anche la ripetuta estorsione, i sequestri di persona, gli atti sessuali con un fanciullo, la ripetuta coazione sessuale, l’incendio intenzionale e il possesso di materiale pornografico. L’accusato – ha ricordato la procuratrice – ha abusato sessualmente per mezz’ora di un ragazzino di 13 anni e dopo quei "disgustosi" abusi ha sgozzato il ragazzo, la madre, il fratello e l’amica di quest’ultimo che aveva precedentemente legato nei rispettivi letti. Dopo essersi ripulito del sangue, ha sparso dell’olio per torce e ha dato fuoco alla casa. Come se non bastasse, subito dopo quegli efferati delitti l’accusato ha iniziato a cercare su internet altri ragazzini e a studiare le abitudini delle loro famiglie. Per la procuratrice è chiaro che aveva intenzione di agire con le stesse modalità.

Carlo Borradori: 'Caso unico in Svizzera'

Il ‘massacro di Rupperswil’ «non è paragonabile a nessun altro caso in Svizzera, perché è un condensato di sadismo, perversione e avidità». Lo afferma l’avvocato Carlo Borradori che rappresenta due persone del Luganese che hanno un legame di parentela molto stretta con le vittime e in particolare con i due ragazzi uccisi. Immaginarsi come stanno i familiari «è assolutamente indefinibile». Ciò che è successo è difficile anche solo da concepire «sia per la crudezza, sia per la coscienza e la lucidità con le quali sono stati commessi i fatti: si è trattato di un piano freddamente calcolato, pianificato e poi messo in atto. E successivamente assimilato con una facilità incredibile. Tanto è vero che nello spazio di pochissimo tempo l’imputato stava già pianificando altri fatti con le stesse identiche modalità», sottolinea Borradori a ‘laRegione’.

Imputato 'calmo e freddo'

L’imputato ha però negato che stava preparando altri due crimini. «Ha rilasciato una dichiarazione piuttosto contraddittoria», precisa Borradori. «Fatto sta che nel suo zaino è stato trovato esattamente tutto ciò che ha usato» per compiere i delitti a Rupperswil. Secondo l’avvocato, presente ieri in aula, l’assassino si è comportato in modo calmo e freddo rispondendo alle domande a lui poste. «Colpisce anche la sua lucidità: è una persona intelligente, molto pacata apparentemente. E la sua pacatezza fa a pugni con la descrizione dei fatti, che ha raccontato in modo molto dettagliato: noi sappiamo esattamente cosa è successo prima, durante e dopo i fatti, perché li ha raccontati lui».

Tre obiettivi: soldi, abusi e morte

Il reo confesso ha poi anche spiegato che il suo piano si è svolto su tre livelli. In primo luogo c’era «l’aspetto finanziario: quindi cercare di recuperare più soldi possibile. Secondo, e più importante per lui, sono stati gli abusi sessuali. Il terzo livello era poi legato alla violenza, al sadismo e alla morte. Quindi all’uccisione di tutti coloro che erano presenti», rileva Borradori. Per quanto riguarda un possibile internamento a vita, l’avvocato non lo esclude completamente, ma lo valuta poco probabile. «È molto difficile, ma è possibile che la verifica dei fatti, di inaudita gravità, possa influire sulla decisione della Corte». Durante il primo giorno del processo, l’omicida è anche stato accusato di dare risposte in modo ‘strategico’. «Lui sa perfettamente che la sentenza sarà esemplare e sta cercando di dimostrare che non aveva quella lucidità che invece periti e fatti dimostrano. Sta cavalcando la tesi della malattia», sostiene Borradori.

L’avvocato si dice poi soddisfatto che infine si sia giunti a processo, considerata la pericolosità dell’imputato e delle difficoltà nell’individuarlo e arrestarlo. «Il lavoro fatto dagli inquirenti è stato incredibile: un lavoro capillare di investigazione controllando migliaia di telefonini che si sono collegati all’antenna nei pressi del luogo del delitto». Hanno quindi notato che l’imputato si era spostato nei pressi della zona del massacro durante e dopo l’orario in cui sono avvenuti i fatti. «All’interno della casa hanno anche trovato tracce del suo Dna», precisa Borradori. In seguito gli inquirenti hanno tenuto d’occhio il 34enne e «il giorno prima dell’arresto hanno notato che stava pedinando un’altra famiglia». Lo ha incastrato il Dna.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔