Svizzera

Quando un animaletto ti paralizza dalla paura: ma si può guarire. Ecco i consigli dello psichiatra

7 novembre 2017
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«Quando vedo un ragno, anche piccolo, la paura mi paralizza, urlo, chiamo mia madre: finché non lo toglie di mezzo non mi sento tranquilla». Questa testimonianza di una giovane ragazza da noi raccolta nell'ambito di un approfondimento sul tema delle fobie nel 2012, si ricollega al recente episodio di cronaca: una donna a Coira ha chiamato la Polizia comunale per un ragno presente nella sua camera da letto. L’aracnofobia è diffusa e ne soffre il 2-3% della popolazione. È una condizione che costringe chi ne soffre a stare sempre sulle spine, soprattutto in luoghi nuovi.

Chi scappa è perduto! È la regola d’oro che ogni psicoterapeuta insegna sulle fobie: bisogna affrontare il mostro per addomesticarlo. Evitarlo, lo fa diventare più forte. subentra la paura della paura. Ed è l’inizio della fine. Che sia l’ansia di attraversare un tunnel, salire in aereo, in ascensore, andare dal dentista… la bella notizia è che si guarisce. Un ticinese su tre conosce questo terrore paralizzante, perché lo ha vissuto nella sua vita: alcuni ci convivono, altri ne subiscono la tirannia fino a non uscire più di casa, altri passano all’attacco. Vi riproponiamo l'intervista fatta quell'occasione allo psichiatra Tazio Carlevaro.

Esperto in ansie e fobie, per anni è stato uno dei direttori della psichiatria pubblica. Il primo passo è sapere tutto sulle paure irrazionali. Attraversano la nostra società, mettono ko il manager come la casalinga: un male tanto diffuso, quanto sottostimato.

Dottore, mica si nasce con le fobie, perché iniziano?

«Alcuni segnali ci sono già verso i 10 anni. Una certa vulnerabilità e tendenza all’ansia, un’insicurezza eccessiva che porta ad evitare delle situazioni».

Che tipo di situazioni?

«Ad esempio, si chiede di acquistare il pane, la risposta è ‘mamma fallo tu’, o rifiuta la passeggiata scolastica...».

Quindi c’è una sorta di predisposizione?

«È più a rischio chi reagisce agli ostacoli fuggendo o evitandoli».

Si ereditano dai genitori?

«Non nel senso biologico, ma possono essere sia un esempio vincente sia uno perdente».

Allora, come inizia?

«Di regola, c’è un improvviso e inatteso attacco di panico: la madre di tutte le fobie. È un momento di rottura: alle spalle, spesso, c’è un prolungato periodo di stress (conflitti in famiglia, sul lavoro…). La tensione si accumula fino ad esplodere in un attacco, che poi può prendere il binario della fobia».

Come si aggancia il panico alla fobia?

«Per associazione e apprendimento. Se l’attacco di panico avviene, ad esempio, in una galleria si eviteranno i tunnel. Ma, in realtà il problema non è la galleria. Bensì l’accumulo di tensione che ha portato all’ansia».

Evitare le gallerie oltre ad essere scomodo…non risolve il problema. Giusto?

«Giusto. Più si evita una fobia, più la si rafforza: cresce il senso di fallimento, crolla l’immagine di se stessi e si esaurisce l’energia per reagire».

Quando si chiede aiuto?

«Quando si tocca il fondo e si è stufi, spesso il motore è una forte motivazione: fare un viaggio, sposarsi ed avere figli, traslocare. Cambiamenti difficili per alcuni fobici».

Come si sente un fobico?

«Assediato, terrorizzato, con l’acqua alla gola. Invece, quando affronta la sua paura, cambia la prospettiva: come per magia si accorge che l’acqua non c’è mai stata».

Come si cura una fobia?

«Affrontandola per gradi. Facendo piccoli passi. Non chiudo un claustrofobico in ascensore per tre ore. Si inizia a studiare il mezzo. Ci vuole creatività. Ogni situazione è diversa. Ad esempio, con una persona che non riusciva più ad entrare in chiesa, abbiamo guardato delle fotografie, prima di provarci. Ora va a messa quando vuole. Per altri, funzionano le visualizzazioni».

Serve pure per conoscersi?

«Si lavora su se stessi. Dico sempre ai pazienti che tutti conviviamo con un inquilino di 5 anni: il suo ideale è stare a letto per evitare ogni pericolo. Urla, scalpita, ci segnala rischi ovunque. C’è chi non lo ascolta, chi invece gli dà corda lasciandosi travolgere dall’ansia. Non si può convincerlo, solo ignorarlo».

Avere fede aiuta?

«Il fobico si illude di controllare tutto. Vuole imitare Dio! Invece è meglio lasciar fare a Dio il suo mestiere. Comunque, se la fede permette di rompere il circuito del controllo è di aiuto».

Quanto tempo ci vuole per uscirne?

«Se non si guarisce in due anni, significa che il terapeuta ha sbagliato o la motivazione del paziente non era sufficiente».

Leggi l'approfondimento completo nella pagina allegata

 

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