Hockey

'Se fossi un idiota non avrei giocato 10 anni per McSorley'

Juraj Simek si racconta dopo aver fatto il passo indietro. 'In Svizzera se hai una brutta fama poi ti perseguita. Giocare in B? Non me ne vergogno'

Dopo Rapperswil, il Kloten (Keystone)
13 giugno 2020
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Juraj Simek si è sentito un privilegiato durante il lockdown. «Ho la fortuna di abitare ad Einsiedeln, qui è pieno di prati verdi e montagne e potevo uscire a passeggiare con mia moglie e mio figlio. E direi che questo particolare momento ha rafforzato la nostra unione», spiega il trentaduenne attaccante, reduce da una stagione con la maglia del Rapperswil. «Fossi stato ancora a Ginevra certe cose sarebbero state decisamente più complicate. Ovviamente centri fitness e palestre erano chiusi, quindi non ho fatto grandi cose quanto ad allenamento, anche perché oltretutto durante il primo periodo di confinamento ero senza un contratto».

Finché è spuntato un nuovo datore di lavoro: il Kloten. «Avevo ricevuto un’offerta di rinnovo da parte del Rapperswil ma le condizioni non mi soddisfacevano, poi la pandemia ha ulteriormente complicato le cose. Tuttavia, con gli Aviatori la trattativa si è conclusa velocemente. Scendere di categoria? Non mi vergogno mica, quello zurighese è un club ambizioso. Nella mia carriera non ho vinto nulla, tranne una Coppa Spengler, quindi questa è l’occasione per vincere il campionato cadetto e centrare la promozione in A: sarebbe fantastico e sono motivatissimo. Non volevo restare nella massima Lega semplicemente per giocare sapendo di non poter vincere nulla. Alla fine la spuntano sempre le solite tre squadre, ed è difficile dunque vincere se non giochi nel Berna o nello Zurigo di turno. E poi voglio dare qualcosa indietro al Kloten, dove in sostanza ho iniziato la mia carriera, giocando per qualche stagione nel settore giovanile».

Per Simek, che nel 2006 venne anche draftato dai Vancouver Canucks (al sesto turno), è come un ciclo che si chiude. «Non ho rimpianti. Chiaramente è facile dire che si sarebbe potuto fare diversamente, col senno del poi, anche se manca pur sempre la controprova. Ho comunque giocato in A, in Ahl, partecipando anche a 'camp' Nhl e ho pure indossato la maglia della Nazionale. Non tutti possono dire di esserci riusciti. E non è semplice raggiungere certi traguardi. Poi chiaro, potendo tornare indietro qualcosina proverei a cambiarla, mi riferisco specialmente al periodo Oltreoceano, da giovanissimo».

'La gente prende per buono ciò che gli si racconta, invece di approfondire'

Nella sua carriera, Simek ha anche avuto la fama di personaggio scomodo, perché con le sue dichiarazioni è sempre uscito dai coro. «Penso che l’apice da questo punto di vista lo abbia raggiunto a Lugano - sorride -. Dopo l'eliminazione dai playoff (ai quarti, in sei partite, contro il Servette, ndr) il coach Patrick Fischer chiese a ognuno di noi di dire la sua, e quando mi alzai io dissi delle cose che non avrei dovuto dire. Il fatto è che in Svizzera certi comportamenti non vengono presi bene. Senza contare, poi, che qui spesso la gente si limita ad ascoltare cosa gli viene raccontato in merito alla tal persona e a prenderlo per buono, invece di parlare direttamente con il diretto interessato e imparare semmai a conoscerlo. Direi che l'esaltazione di ciò la si vede al momento della negoziazione di un contratto. Un esempio? Una volta un direttore sportivo disse al mio agente che il sottoscritto aveva l’abitudine di entrare nello spogliatoio con caffè e brioche… E pensare che io il caffè non l'ho mai bevuto, neppure mi piace. Purtroppo alle nostre latitudini è così: una volta che hai una brutta fama te la porti appresso in eterno. Però, pensateci: se fossi davvero tanto idiota, come avrei potuto giocare per anni a Ginevra alla corte di Chris McSorley?».

Il suo rapporto con il vulcanico e sagace tecnico canadese è sempre stato intenso. «Di Chris so praticamente tutto. So persino cos'avrebbe fatto mentre attendeva che gli portassero il caffè. Come tecnico era duro, hockeisticamente parlando abbiamo avuto le nostre divergenze, ed è uno che ragiona come gli uomini d'affari, ma al di fuori non ho mai avuto problemi con lui. Ancora oggi posso chiamarlo, parlare di qualsiasi argomento e fare due risate».

'Ci vorrebbe un Salary cap, perché c'è chi guadagna troppo e chi troppo poco' 

In queste settimane il mondo dell'hockey svizzero è in fermento, e sul tavolo ci sono parecchi progetti: dal tetto salariale, alla questione stranieri e sino alla Lega chiusa. «Io sono favorevole al Salary cap, perché permetterebbe di equilibrare i valori: ci sono elementi che guadagno decisamente troppo, altri invece troppo poco. E trovo pure che in Svizzera bisognerebbe rendere pubblici gli stipendi. Per quanto riguarda gli stranieri, invece, bisogna restare con la regola dei 4 utilizzabili sul ghiaccio. Gli stranieri hockeisticamente svizzeri? Io li conterei come stranieri a tutti gli effetti, perché tolgono il posto ai giovani svizzeri senza portare nulla al nostro hockey. Mentre vedo di buon occhio una Lega chiusa a 14 squadre, perché la situazione è emotivamente davvero dura, quando si arriva alla sfida-salvezza. Al limite, in alternativa, vedrei la relegazione diretta, l’ultimo scende e il primo di B sale. Così facendo non sarebbe così drammatico dover fare i conti con un’eventuale retrocessione».

Musica del futuro, comunque. Futuro che Simek, invece, non vuole pianificare troppo. «Se dodici mesi or sono, quando ero in vacanza ad Hong Kong, qualcuno mi avesse detto che avrei giocato a Rapperswil, sarei andato a vivere ad Einsiedeln e  avrei firmato per il Kloten gli avrei dato del pazzo… E invece è successo. Quindi è inutile pensare troppo, la vita riserva sempre sorprese».

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