Hockey

Isacco Dotti: 'Tattica? No emozioni'

Il difensore leventinese sul derby: 'L’approccio è simile a quello delle altre partite. In più ci sono le emozioni. Bisogna vedere come uno è in grado di canalizzarle'

11 febbraio 2020
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Alla Valascia cade persino qualche fiocco di neve, mentre sul ghiaccio è un continuo andirivieni nell’ultimo, vero allenamento prima del derby numero 232 della storia. E dove – al solito, verrebbe da dire – Luca Cereda deve riuscire a completare il puzzle con i pezzi che gli restano. Con la differenza che stavolta neppure gli arruolabili ci sono tutti: sceso in pista domenica sera con la nazionale del suo Paese, lo sloveno Robert Sabolic è infatti ancora per strada chissà dove, mentre i suoi compagni vanno in pista e stringono gli ultimi bulloni in vista del derby. Stasera, quindi, in sostanza la formazione si farà da sé. Di conseguenza non si può certo dire che la settimana di pausa, pensando all’infermeria, sia servita granché. «Però sul piano mentale ci ha fatto bene», racconta Isacco Dotti. «All’inizio s’è lavorato, ma poi abbiamo avuto un paio di giorni per staccare la spina» prosegue il ventisettenne difensore leventinese. Uno che il derby lo sentirà senz’altro più di altri, essendo cresciuto a Mairengo. Pur se dei suoi ha già perso il conto... «Quanti sono? No, non lo so – ride –, dovrei controllare». A fornire la risposta è l’inesauribile archivio di Brenno Canevascini: stasera Dotti arriva a quota undici. «Come li vivo? Come partite speciali, perché lo sono. Momenti in cui tutto si amplifica. Anche sui giornali e tra la gente».

Ma il derby è speciale anche nel modo in cui lo si prepara? «Non veramente. L’approccio è simile a quello delle altre partite: cerchiamo di capire quali sono gli errori che l’avversario commette e proviamo a sfruttarli. La differenza è che in più ci sono le emozioni. E quelle bisogna vedere come uno è in grado di canalizzarle». Quando manca ormai un mese alla postseason, però, se già nessuno regalava niente prima, a maggior ragione non lo farà da adesso in poi. Quindi è possibile che questo derby alla fine diventi più tattico che emozionale? «Non credo. Anzi, semmai direi l’esatto contrario: essendo una partita tanto importante, secondo me le emozioni si faranno ancor più sentire».

Ma la pressione, quella vera, invece chi ce l’ha? «Non saprei. Forse il Lugano più di noi. Perché quando lo giochi in casa, il derby, fra virgolette, lo ‘devi’ vincere. Ma questi sono discorsi che lasciano il tempo che trovano, e alla fine le partite cominciano sempre dallo zero a zero». Una cosa però la si può dire, cioè che rispetto all’ultimo derby alla Valascia, che costò il posto a Kapanen, il Lugano è senz’altro cambiato molto nel suo modo di giocare. Tanto che in quest’inizio di 2020 ha incassato una media di poco più di due gol a partita. «Vorrà dire (sorride, ndr) che dovremo essere ancora più accorti nell’applicare il nostro sistema difensivo».

Cosa che avevate saputo fare benissimo nell’ultima uscita, contro il Berna. Tanto che Conz aveva celebrato lo shutout. «Vogliamo ripartire proprio da lì, da un weekend in cui, al di là del risultato, avevamo ritrovato buone sensazioni. Se la pausa abbia in qualche modo influito su quello slancio non posso dirlo: lo scopriremo stasera. Quel che so è che da qui alla fine della regular season metteremo in pista tutto ciò che abbiamo da dare». Un po’ come, per restare in famiglia, hanno fatto tuo fratello Zaccheo e il suo Ajoie nell’ormai celeberrima, clamorosa finale di Coppa Svizzera. «Direi che andavano quasi al doppio della loro velocità... Poi, non so, forse il Davos non si aspettava un avversario tanto determinato. A Malley non ho potuto andarci, perché noi qui eravamo al lavoro, ma sono felice per lui, se l’è meritato. E quando l’ho incontrato, nei giorni scorsi – ride – quasi non toccava terra».

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