Hockey

Bertaggia, e la storia continua

Dopo Sandro, tocca ad Alessio vivere il Mondiale con la Nazionale. ‘E fin qui direi che se l’è cavata molto bene’

(Keystone)
11 maggio 2019
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Tale padre, tale figlio. Anche se Sandro Bertaggia vi dirà di no.  «Fisicamente, lo dichiaro apertamente, è di un pianeta diverso rispetto a quello su cui c’ero io...»,  racconta colui che fu una leggenda del Lugano di fine secolo scorso, e che in diciotto stagioni arrivò a totalizzare oltre ottocento partite nel massimo campionato. Adesso, invece, l’ex difensore bianconero si appresta a vivere quello che potrebbe essere il primo Mondiale giocato da suo figlio Alessio. Che assieme Michael Fora ha spiccato il volo per Bratislava, con l’obiettivo di vestire la maglia di una Nazionale che da tempo immemore non portava più a un Mondiale due ticinesi ‘doc’: l’ultima volta successe infatti nella primavera del 1999, quando Mattia Baldi e Pauli Jaks presero posto assieme sul volo che portava a Oslo.

Osservatore attento di ciò che capita nel pianeta hockey, Sandro Bertaggia – se possibile – stavolta avrà assistito con interesse ancor maggiore alla marcia di avvicinamento ai Mondiali di un gruppo che, non dimentichiamolo, fra una settimana dovrà difendere l’argento conquistato un anno fa in Danimarca. «Se sono i nomi ‘giusti’, questi? Difficile dirlo – spiega il 55enne ex difensore –. Di sicuro, ‘Fischi’ ha fatto le sue scelte basandosi sulla condizione di chi aveva a disposizione, partendo dall’idea che in quella squadra ognuno dovesse avere il suo ruolo ben preciso. E lui è fatto così:  se uno merita, lo sceglie, senza guardare in faccia a nessuno e indipendentemente dal nome che porta. In altre parole: se un giovane di poca esperienza rende più di un giocatore ‘arrivato’, per così dire, lui non si fa problemi nel puntare sul primo. E non ha neppure paura di conflitti tipo quello con Malgin, né di lasciare a casa uno come Hollenstein. Che io ritengo sia un ottimo giocatore, ma sulla base di ciò che si è visto in preparazione c’è gente che ha fatto meglio».

Due esempi della filosofia di Fischer sono le convocazioni del diciannovenne Philipp Kurashev, fresco di firma con i Chicago Blackhawks, o del diciottenne difensore del Bienne Janis Moser. «Quando ho saputo che avrebbe chiamato Kurashev sono rimasto sorpreso. Ai Mondiali juniores di Vancouver io c’ero, e l’ho visto giocare, ed è vero che aveva segnato parecchio (6 reti in 7 partite, ndr), ma il livello giovanile è una cosa, i campionati del mondo, quelli veri, un’altra. E invece, nelle quattro amichevoli che ha disputato con Lettonia e Francia  devo dire che è cresciuto, e ha lavorato egregiamente. Pure Moser mi ha sorpreso in bene, e credo che di quest’esperienza potrà senz’altro beneficiare, ma bisognerà poi vedere se (e quanto) spazio avrà». Infatti, pur se questa selezione è definitiva, ben difficilmente all’arrivo a Bratislava Fischer iscriverà tutti e 25 i giocatori senza conoscere il destino degli svizzeri ancora impegnati nei playoff Nhl. «Quello è un dato di fatto. Immagino che all’inizio deciderà di impiegare 7 difensori e 13 attaccanti, lasciando quindi inizialmente ai margini due giocatori. Oggi vedremo quale formazione manderà in pista per affrontare l’Italia».

Tra coloro che aspettano di vedere come finisce c’è pure tuo figlio: tu, fin qui, come l’hai visto? «Nelle cinque amichevoli in cui ha giocato, vedendo i gol che ha totalizzato (quattro, ndr) e il ruolo che gli è stato assegnato direi che se l’è cavata molto bene. Ne sono orgogliosissimo. Ciò che gli sta capitando dimostra che se un allenatore ti dà fiducia e riesce a trovare il ruolo che più ti si addice, tu sei in grado di dare quel qualcosina in più. A Lugano, ad esempio, lui non veniva impiegato nelle inferiorità numeriche, ciò che invece gli capita in Nazionale. E con successo, visto che la sua linea non ha incassato reti. Spero che in futuro anche a Lugano possa accadere lo stesso». Tu che lo conosci bene, quanto credi che avrebbe scommesso su una sua selezione? «Ciò che posso dire è che già non si aspettava di ricevere la prima chiamata. Ora, però, in quel gruppo ha un compito da svolgere, ed è un compito ben preciso. Sa a cosa va incontro, e io mi dico che se avrà la sua occasione, la sfrutterà. In caso contrario vivrà comunque una nuova esperienza, supportando i compagni e mettendosi a disposizione del gruppo».

Tra passato e presente: '‘Noi, invece, eravamo atleti del nostro tempo…’

Sandro ammette serenamente di non essere un campione quanto a memoria, ma se gli si chiede quante volte abbia vestito la maglia della Nazionale, lui non ha dubbi: «152». In una carriera iniziata ai Mondiali ‘B’ del 1986 e conclusasi dieci anni più tardi ad Eindhoven. In quello che, guarda caso, sempre che gli archivi non mentano, fu il primo Mondiale di un giovanissimo Patrick Fischer. «Sinceramente? Non lo ricordo. Ma se lo dicono le statistiche, dev’essere vero», ride.Sandro ammette serenamente di non essere un campione quanto a memoria, ma se gli si chiede quante volte abbia vestito la maglia della Nazionale, lui non ha dubbi: «152». In una carriera iniziata ai Mondiali ‘B’ del 1986 e conclusasi dieci anni più tardi ad Eindhoven. In quello che, guarda caso, sempre che gli archivi non mentano, fu il primo Mondiale di un giovanissimo Patrick Fischer. «Sinceramente? Non lo ricordo. Ma se lo dicono le statistiche, dev’essere vero», ride.Tu oltre 150 partite, mentre quelle di Alessio per ora sono otto. Gli hai parlato, dopo la selezione? «Sì, ed era al settimo cielo, anche se sa benissimo che potrebbe anche non giocare, o magari giocare pochissimo. Ma non abbiamo certo fatto un discorso di mezzora: di questi tempi mi concede al massimo un paio di minuti, sono le sue regole. Ed è giusto che sia così, bisogna saper staccare».Il tuo è un passato da difensore,  mentre tuo figlio è un’ala, quindi non solo si parla di epoche distinte, ma pure di due ruoli diversi. Fatta la premessa, c’è qualcosa di te che rivedi in lui? «Credo che in comune abbiamo un pattinaggio, per così dire, abbastanza sciolto. E poi l’energia, l’agilità, la grinta. Tuttavia, con la sua testa lui è diventato professionale ben prima di me. Nel senso che io ho impiegato qualche annetto prima di capire come gira il mondo – sorride –. Soprattutto, però, sul piano atletico Alessio è due volte più forte di quanto non lo fossi io. Lo dimostrano i suoi test fisici a Lugano: in queste ultime stagioni è sempre stato fra i migliori due, tre. Naturalmente, parliamo di risultati rapportati all’altezza e al peso, perché è ovvio che uno più alto di lui e che pesa 100 chili abbia più forza. Quella forza che, poi, è un fattore decisivo quando sei impegnato nei contrasti».Certo che dai tuoi tempi ne sono cambiate di cose... «Certamente! Pensiamo solo alla preparazione fisica che fanno adesso: oggi sono atleti veri, noi eravamo atleti del nostro tempo... Sono cambiate le regole, i materiali... Basta cercare su internet un filmato del 1990: qualcuno potrebbe chiedersi se non fossero immagini al rallentatore», ride. C.S.

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