Hockey

Il Lugano, il bambino e l’acqua sporca

Dalle avvisaglie del mese d’agosto a un finale col fiatone. Ma se questa stagione è fallimentare non vuol dire che lo sia anche tutto il resto

18 marzo 2019
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Venerdì 27 aprile 2018. In quella che allora si chiamava Resega, il Lugano perde gara 7 della finale. Un anno dopo, con un abbondante mese d’anticipo, i bianconeri salutano la corsa per il titolo. Battuti in quattro partite dallo Zugo già allo stadio dei quarti di finale. È il punto finale di una stagione nata male, proseguita tra alti e bassi sfociati nell’affannosa rincorsa a un posto nei playoff, prima dell’epilogo durato appunto la miseria di quattro partite. Troppo poche, soprattutto per una squadra che in dote si portava il titolo di vicecampione svizzero. E di poca consolazione è la consapevolezza, bene o male, di aver comunque fatto meglio dello Zurigo campione, che quest’anno ha clamorosamente toppato la corsa ai play­off.

Alla Cornèr Arena, nei primi minuti di domenica mattina (perché gara 4, iniziata sabato sera, ha sforato di qualche minuto la mezzanotte) si è materializzato un quadro i cui contorni si erano già intuiti in tempi assolutamente non sospetti. Lo stesso Ireland, addirittura a fine agosto, aveva avuto il presagio che qualcosa non tornasse nei conti della squadra dopo averla vista all’opera sulla ribalta della Champions League in quel di Pilsen. E il tecnico di Orangeville non le aveva mandate a dire, esternando il suo disappunto circa l’atteggiamento della squadra. Avvisaglie che, di lì a qualche settimana, avevano trovato puntuale conferma con le prime uscite di regular season. Cinquanta giornate che hanno riservato sostanzialmente più ombre che luci, soprattutto nella prima parte. E se il bilancio della stagione regolare è sufficiente (ma in ogni caso non buono), lo è comunque stato solo grazie alla sua seconda metà: da Natale innanzi i bianconeri hanno sensibilmente migliorato il loro rendimento, con una media di punti a partita addirittura da capolista, centrando l’obiettivo minimo (o di ripiego che dir si voglia) di staccare almeno il biglietto per i playoff. Col fiatone, e con un notevole dispendio di energie. Le stesse che, anche, sono forse venute un po’ meno quando si sarebbe trattato di cambiare marcia per davvero. L’epilogo è stato tanto amaro quanto breve: quattro partite e tutti in vacanza. Certo, dall’altra parte c’era uno Zugo che, anche alla luce di come ha superato i quarti di finale, ha tutti i numeri per sognare davvero in grande, ma non basta questa consapevolezza a mitigare l’amarezza per una stagione deludente.

Qualcosa andrà fatto, e qualcosa, appunto, la dirigenza intende fare. E per arrivare a conoscere quale sarà l’esito di tale ragionamento con buona probabilità non si dovrà pazientare a lungo.

In ogni caso, la parabola del Lugano è la riprova che, come spesso accade nello sport, il passo più difficile da compiere è quello della conferma da una stagione all’altra. Quel passo che, appunto, i bianconeri stavolta non sono riusciti a fare. Ma chi oggi taccia di fallimentare la gestione del club in questi anni deve stare attento a non buttar via il bambino assieme all’acqua sporca. Perché, al di là di tutto, in quattro stagioni il Lugano ha pur sempre raggiunto un quarto, una semifinale e due finali. Di cui una, oltretutto, persa soltanto al termine di gara 7.

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